SAN GREGORIO MAGNO ( 540 - 604 )
Studi, ricerche e approfondimenti
Avv. Carmine Alvino
SAN GREGORIO MAGNO
(540 - 604)
Ma oltre al pensiero di Tommaso, pure quello di S. Gregorio ( 540 - 604 ) sarà influenzato dallo pseudo – Dionigi. Pastore e di riformatore della Chiesa, fu autore di un Corpus di sermoni che redasse per il popolo e dei Dialoghi: un libro che sfrutta abilmente forme narrative care ai fedeli più semplici e più attratti dalle narrazioni appassionanti e dalle grandi gesta dei martiri e dei monaci della Chiesa.
Con riguardo agli Angeli ci facciamo aiutare sul punto dal celebre Angelologo Don Marcello Stanzione , che ben spiega la questione angelologica di questo dottore Ecclesiae.
Il Santo Papa – dice in sintesi Stanzione[1] - ha lasciato ben due liste di Cori, ambedue formate di 9 Cerchie. Tuttavia per il pensiero gregoriano:
- « Vi sono dunque 9 cori angelici (P. L., 76, 665 C; 1249 CD). Questa sicurezza nell’affermazione potrebbe ben essere, presso San Gregorio, una traccia dell’influenza di Dionigi, poiché essa è anche insolita in Occidente come lo era in Oriente prima dell’apparizione del corpus dionisiaco. Comunque sia, San Gregorio ha variato leggermente la sua enumerazione dei 9 cori. La sua prima lista si trova nelle Morales, libro 32, c. 23, n° 48 (P. L., 76, 665 C) essa è basata sul testo dei Colossesi, ma inserisce le Virtù in mezzo alle 4 classi di questo testo. La seconda lista “gregoriana” è posteriore e più importante, poiché la si trova nell’omelia 34 sul Vangelo (nn. 6-7; P. L.., 76, 1249 e ss.) che la sviluppa e la commenta lungamente. San Gregorio vi segue sempre la lettera ai Colossesi, ma egli ha supposto che San Paolo avesse enumerato gli esseri celesti andando dal più perfetto al meno perfetto; e dunque, per ottenere l’ordine della perfezione ascendente, occorreva prendere a rovescio il testo di Col. 1, 16. Dunque, nei due casi, San Gregorio adotta un ordine differente da quello di Dionigi, e rimane fedele alla lista liturgica, basata sulla Lettera ai Colossesi. E, d’altra parte, egli non parla della divisione dei nove cori in tre gerarchie. Comunque egli conosce Dionigi, dicendolo in quella stessa omelia (P. L. 76, 1254 B). come lo fa notare discretamente l’editore benedettino in una nota su questo passo, in cui l’espressione di San Gregorio sembra ben contenere una sfumatura dubitativa, che non deve portare sul fatto che quel Dionigi dice tale o talaltra cosa (poiché la dottrina di cui trattasi è molto ben riassunta dal santo Papa, ed è quasi certo ch’egli dovesse avere le sue opere a sua disposizione); ma il dubbio deve piuttosto portarsi sull’autore e sulla la vera identità di Dionigi Areopagita che gli si attribuisce comunemente e che lui, Gregorio, non si preoccupa minimamente di affermare. Non sembra, in effetti, dubbioso che San Gregorio abbia dovuto leggere almeno i passi della Gerarchia Celeste che trattano del numero e della gerarchia degli Angeli, poiché egli espone molto bene l’opinione di Dionigi, che vuole che il serafino che purifica le labbra di Isaia sia un semplice Angelo, essendo gli spiriti delle classi superiori mai inviati in missione. Ma poiché quest’Angelo brucia con un carbone ardente le labbra del profeta, egli interpreta allora un ruolo da bruciante, dunque da serafino, e può essere considerato come avente posto di uno spirito della suprema gerarchia che agirebbe per sua intercessione: da ciò il nome che gli dona Isaia. Dopo aver esposto questa teoria dionisiaca, che evidentemente poggia su di un sistema filosofico a priori piuttosto che sull’interpretazione imparziale della Scrittura, il santo Dottore Gregorio aggiunge tranquillamente: “Da parte nostra non vogliamo affermare quello che non possiamo provare con dei testi chiari ed indubitabili”: modo discreto per mostrare che l’affermazione di Dionigi manca di base scritturistica solida. In breve, da tutto questo insieme di fatti mi sembra risultare che San Gregorio non fosse ben persuaso nell’avere a che fare, in quel Dionigi, con un vero discepolo ed interprete dell’Apostolo delle nazioni».
Prendiamo dunque anche noi le due succitate elencazioni. La prima dal libro 32° dei Moralia ove afferma:
- «48. Il suo primato sta su nove ordini di Angeli. Cherubino che significa –e insinuando il medesimo profeta, che da ciò derivai il primato della sua potenza, aggiunge pure: tu eri coperto d'ogni pietra preziosa: rubini, topazi, diamanti, crisòliti, ònici e diaspri, zaffìri, carbonchi e smeraldi; e d'oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato (Ezech. XXVIII, 13). Parlò di nove tipologie di pietre preziose perché senza dubbio nove sono gli ordini degli Angeli. Infatti poiché, mediante i medesimi sacri discorsi si ricordano, mediante una esposizione chiara angeli, arcangeli, troni, dominazioni, virtù, principati, potestà, cherubini, e serafini, sono mostrate quante siano le distinzioni degli abitanti celesti».
La seconda dall’ Omelia 34, espressa nella Basilica di San Giovanni e Paolo, la domenica IIIa dopo pentecoste dove enumera i Cori dal paragrafo 8 al paragrafo 10, affermando questa catalogazione: Angeli, Archangeli (Michele, Gabriele e Raffaele) [par. 9] , Virtù, Potestà, Principati, Dominazioni, Throni, Cherubini, Serafini [par.. 10]:
- « 8. Potremmo passare in rassegna questi cori degli angeli rimasti fedeli a dio senza descrivere in modo preciso il loro ministero? Nella lingua Graeca, infatti, i nunzi si chiamano angeli, mentre i nunzi sommi si chiamano arcangeli. E’ da sapere che il termine «angelo» denota l’ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli. Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l’arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi. A essi vengono attribuiti nomi particolari, perché anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguano le loro persone. Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall’ufficio che esercitano. Così Michele significa: Chi è come Dio?, Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio. Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall’azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L’antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo: Salirò in cielo (cfr. Is 14,13-14), sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all’Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all’estremo supplizio. Orbene egli viene presentato in atto di combattere con l’arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: «Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12,7). A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell’umiltà per debellare le potenze maligne dell’aria. Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero. Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni. Potremmo passare in rassegna questi cori degli angeli rimasti fedeli a dio senza descrivere in modo preciso il loro ministero?
- ...
- 10. Virtù sono chiamati quegli spiriti ad opera dei quali avvengono con frequenza segni e prodigi. Potestà sono chiamati quelli che nel loro ordine hanno ricevuto più di tutti gli altri il potere di tener soggette le forze maligne avverse, alle quali impongono freno e dominio perché non riescano ad opprimere nella tentazione il cuore degli uomini come vorrebbero. Principati sono chiamati quelli che hanno potere anche sugli stessi spiriti buoni degli angeli, per i quali dispongono ciò che deve essere compiuto, esercitando su di loro il dominio quanto all’esercizio dei ministeri divini. Dominazioni son detti quelli che superano anche le potestà dei principati per l’altissima dignità nei loro confronti. Avere il principato infatti significa essere primo fra gli altri; il dominare invece comporta anche l’uso del potere su tutti i sudditi. Le schiere degli angeli cui è dato un grande e universale potere, al quale sono sottoposte nell’ubbidienza tutte le altre, sono chiamate dominazioni. Il nome di Troni è riservato alle schiere angeliche cui presiede sempre Dio onnipotente nell’esercitare il giudizio. Questo vocabolo che li designa, in latino significa sede: troni di Dio sono dunque chiamati quelli ai quali è riservata una grazia di Dio così grande, che il Signore stesso siede fra loro e per loro mezzo formula i suoi decreti. Per questo scrive il salmista: siedi sul trono tu che giudichi con giustizia (Sal., 9,5). Cherubino significa pienezza di scienza e questo nome è dato a quelle eccelse schiere che sono dotate di scienza perfetta perché contemplano molto da vicino lo splendore di Dio, così che, per quanto è concesso a creatura, riescono a conoscere esaurientemente ogni cosa, per il fatto di essere vicine al Creatore per il grado di dignità. Serafini sono detti gli spiriti che adorano di immenso amore al cospetto di Dio, al quale si trovano più di ogni altro vicini. Il vocabolo indica ardenti o brucianti. Essi, essendo così vicini a Dio che nessun altro spirito li distanzia da lui, ardono in fiamme d’amore appunto perché lo vedono così dappresso. La loro fiamma è l’amore, perché vedendo in maniera così diretta lo splendore della divinità, ardono in fiamme potenti d’amore».
Nonostante i dubbi sull’identificazione dell'autore del corpus dionisiano, Gregorio Magno, cade nel tranello sulla vera identità della persona e, finisce per citare con estremo rispetto «il divino Dionigi» nella sua 34 Omelia.
Egli dimostra quindi, di aver tenuto conto della sua ripartizione, e quindi di esserne stato influenzato.
La citazione si trova nel punto 12 della medesima Omelia. Poniamo in commento anche la sua valutazione sul dilemma dei Serafini Immobili:
- «12. Mentre vi presento questi pensieri, fratelli carissimi, entrate in voi stessi e prendete in esame i meriti e i sentimenti che tenete nell’intimo del vostro cuore. Chiedetevi se qualcosa di buono c’è in voi, se, corrispondendo alla vostra vocazione, vi trovate a far parte di alcuna di questa schiere che abbiamo brevemente descritto. Guai all’anima che non può riconoscere in sé qualcuna delle virtù elencate! E sventura ancora maggiore per quella che si vede priva di doni e non geme! Chi dunque è in tali condizioni, fratelli miei, va compianto perché non geme. Pensiamo allora ai doni degli eletti e desideriamo con tutto l’ardore possibile di sentirci attratti alla loro sorte. Chi non vede affatto in sé la grazia di questi doni, gema, chi ne possiede in misura minore non deve provare invidia per chi ne ha di più, perché le celesti categorie degli spiriti beati sono tali che alcune vengono preposte alle altre.
Si dice che Dionigi l’Areopagita, antico e venerando padre, afferma che dalle minori schiere degli angeli alcuno spiriti sono visibilmente o in modo invisibile ad esercitare particolari mestieri, che cioè angeli o arcangeli vengono ad aiutare gli uomini.
- Le schiere più eccelse non lasciano mai le ,loro sedi, non avendo esse l’incarico di esercitare ministeri fra gli uomini. A questa affermazione sembra contraddire quanto leggiamo in Isaia: e volò da me uno dei serafini con in mano un carbone acceso tolto dall’altare con le molle e toccò la mia bocca (Is., 6,6-7). Da queste parole del profeta si può allora comprendere che gli spiriti inviati vengono indicati col nome di coloro di cui compiono il ministero. Infatti l’angelo inviato per distruggere col carbone acceso preso dall’altare i peccati commessi colla parola, è chiamato serafino, vocabolo che significa incendio. In questo senso si crede possono essere intese le parole di Daniele: mille migliaia esercitavano dei ministeri per lui e miriadi di decine di miriadi l’assistevano (Dan., 7,10). Altro è esercitare dei ministeri, altro è assistere: compiono dei ministeri per il Signore coloro che vengono a noi come nunzi, lo assistono quelli che godono di una così intima contemplazione che non vengono inviati mai come suoi ministri».
Mentre pseudo - Dionigi colloca le Virtù sotto le Dominazioni e sopra le Potestà, e i Principati sotto le Potestà e sopra gli Arcangeli, S. Gregorio pone i Principati tra le Dominazioni e le Potestà, e le Virtù tra le Potestà e gli Arcangeli.
Ciò perché gli stessi, rifacendosi alle parole di Paolo, non sono in grado di determinare con certezza la posizione di alcuni cori. S. Paolo, infatti, enumerando in linea ascendente gli ordini intermedi nella Lettera agli Efesini [1, 20 s.], dice che Dio costituì Cristo: «alla sua destra nei Cieli, al di sopra di ogni Principato e Potestà e Virtù e Dominazione» : ponendo così le Virtù, come vuole Dionigi, tra le Potestà e le Dominazioni. Invece nella Lettera ai Colossesi [1, 16] enumera gli stessi ordini in linea discendente: «Troni, Dominazioni, Principati e Potestà, tutto per mezzo di lui e in vista di lui fu creato» : e qui pone i Principati tra le Dominazioni e le Potestà, come fa S. Gregorio.
E tale difficoltà la rileva pure San Tommaso.
Chi esamini diligentemente la determinazione degli ordini fatta dallo pseudo - Dionigi e quella fatta da S. Gregorio, si accorgerà che esse differiscono inevitabilmente, pure nella determinazione di questi Cori, finendo con l’ attribuire loro compiti, che risultano alla fine divergenti.
Infatti S. Gregorio fa derivare il nome dei Principati dal fatto che essi «presiedono agli spiriti buoni» : e ciò compete anche alle Virtù, in quanto il nome di Virtù comporta una certa fortezza che dà vigore agli spiriti inferiori, perché eseguano efficacemente i divini ministeri. Inoltre le Virtù di S. Gregorio sembrano identificarsi con i Principati di pseudo - Dionigi. Infatti il primo dei ministeri divini è il compimento dei miracoli, perché è in questo modo che si apre la strada agli annunzi degli Arcangeli e degli Angeli.
Ciò posto, la conseguenza più importante di questo fraintendimento è che Gregorio adotterà completamente il sistema dionisiano che non presenta alcunq informazione sui Sette Arcangeli, e che colloca invece, Michele, Gabriele e Raffaele nel basse della penultima gerarchia! Anche se infatti Gregorio concorda sulla circostanza che: "i nunzi si chiamano angeli, mentre i nunzi sommi si chiamano arcangeli", è pur vero che questi Arcangeli non sono da ritenersi serafini, bensì dei meri principi dell'ottavo coro angelico; in ciò fuorviando tutti gli interpreti.
A questa asserzione rintuzza San Bernardo
nella celebre omelia sull’evangelico “Missus Est” riferito all’Arcangelo Gabriele, ove spiega che:
- «…L’Evangelista dice dunque “l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio”. Non penso che questo Angelo sia tra quelli minori, che hanno per loro compito abituale di eseguire frequenti ambascerie verso la terra per un motivo qualsiasi; lo si capisce con certezza proprio dal suo nome, che tradotto significa “Forza di Dio”, e anche perché non si dice che sia mandato da qualche altro spirito più importante di lui, come di solito accade, ma da Dio stesso. Per questo dunque si è qui posto “da Dio”; e per ciò si è detto “da Dio” , affinchè non si pensi che Dio abbia rivelato il suo progetto, prima che ala Vergine, a qualcuno sia pure degli altri spiriti beati, se non solo all’Arcangelo Gabriele. Egli solo dunque tra gli Angeli fu trovato di tanta eccellenza da essere degno di tale nome e di tale messaggio. E il nome non è in disaccordo con il messaggio A chi infatti più conveniva annunicare “Cristo potenza di Dio” ,se non a chi è onorato da un nome simile? Cos’altro è infatti la fortezza, se non la potenza?...».
rendendo dunque inutile la citazione di Gregorio!
note
[1] Marcello Stanzione, La dottrina angelologica di San Gregorio Magno ,
http://www.miliziadisanmichelearcangelo.org/content/view/1863/93/lang,it/