ROBERT DEBROSSE (1768-1848)

Carmine Alvino

Padre Robert Debrosse (1768-1848)

[biografia -  Menologio di pie memorie d'alcuni religiosi della Compagnia di Gesù , Volume 2 di Giuseppe Antonio Patrignani]  Il  26 marzo del 1768 nacque il P. Roberto, in un luogo del vescovado di Reims in Francia. Uscito di fanciullo inclinava tanto alla pietà, che si volle avviare pel sacerdozio. Studiava teologia nel seminario, quando scoppiarono i tremendi rivolgimenti che tutto insanguinarono quel regno infelice. Perchè fu disperso coi compagni, e in odio della Fede carcerato. Quindi ricuperata la libertà, si rifuggì in Germania e v'ebbe la consecrazione degli ordini. Placati poi i civili turbamenti della sua patria vi rientrò, e nel 1801 pel vivo desiderio che avea di dedicarsi più strettamente alla servitù di Dio, si rendette nella Società dei Padri della Fede, che era una congregazione piantata a preparare il risorgimento della Compagnia di Gesù, e che conforme le sue leggi e il suo spirito si guidava. Fu incontanente adoperato maestro nel convitto di Lione, e poscia mandato a presiedere fin dalla sua fondazione l'altro di Belley, che sotto la sua mano tolse a fiorire stupendamente, massime quando vi fu assegnato Rettore. Nel qual carico due casi gli avvennero che luminosamente attestano e la fermezza e l'obbedienza della sua bell'anima

II. Per molto che foss'egli stato in sull'avviso, quanto all'ammettere alunni intemerati di costumi, non di manco ve n'ebbe alcuni che per guasto precoce si corruppero in modo, da non doversi più tenere in commercio con gli altri, salvo il comun bene. Perchè il P. Roberto chiarito dei fatti, propose di recider d'un taglio quei putridi membri, e assicurare con ciò i sani ed intatti. Ma per appunto i più meritevoli di scacciamento erano i più addentro nella grazia del magistrato, il quale come a risoluzione di rigore soverchio forte però si oppose. Qui non vennegli meno il coraggio, e con franco volto soggiunse a quel signore: Se voi contrastate al licenziamento de' colpevoli, io scriverò ai parenti di tutti gli alunni, che se li vengano pure a ripigliare, non essendo quivi al sicuro l'integrità di loro morigeratezza: e il farò di fermo. A questo sì generoso parlare si diè vinto il potente oppositore, e il convitto di assai avvantaggiò in riputazione e decoro.

III. Per altro di queste morbose pecore una si era ancora serbata, con fidanza di poterla forse risanare di facile. Venuto per la visita annuale al collegio il P. Varin Superiore della Società di Francia, e inteso di cotesto giovane scapestratello e della indulgenza usatagli; chiamò a sè il P. Rettore, e abboccatosi con lui conchiuse dicendo: Andate all'altare del Sagramento: pregate di cuore vivissimo per la salvezza dell' alunno, e come vi sentiate compunto, rizzatevi e correte ad abbracciarlo senza proferir sillaba. Ubbidì alla lettera il docilissimo Padre: e ne fu premio la conversione e il guadagno di quell'anima, che d'allora in poi mutò affetti ed opere, e uno specchio diventò di modestia e purezza. Tanto è vero che l'uomo ubbidiente canta sempre vittoria.

IV. Nel 1808 successe per decreto imperiale la dispersione dei Padri, che chiusi e abbandonati i loro collegi e seminari, ebber comando di ritornare ciascuno nella sua diocesi. Il P. Debrosse andò a Metz, e in uffizio di cappellano fu addetto allo spedale di S. Nicolò. Quivi si strinse in grande amicizia col capitano Potot emerito allora, e tutto intento nellecose di Dio, che quinci a non molto resosi della Compagnia di Gesù, vi morì in odore di santità. Con l'aiuto di questa grand'anima, tolse a piantare una impresa che tornò poscia di gloria somma al Signore. E fu la istituzione di una libreria cristiana per uso di chiunque volesse giovarsene, prestandosi i volumi al tutto gratuitamente. Divisolla il zelante Padre a far argine a quella piena di stampacce empie e invereconde, che inondavan ogni lato della Francia. Da quei piccoli incominciamenti, uscì di poi ingrandita pian piano l'opera detta della propagazione dei buoni libri, che tanti frutti di benedizione apportò, e ora anche apporta in quegli stati, dove la sfrenatissima libertà della stampa diffuse ogni mal seme di nequizia. Onde se altro non avesse fatto al mondo il P. Debrosse, che fondare sì utile istituto, già possederebbe un titolo amplissimo alla riconoscenza perpetua dei fedeli cattolici. V. La bolla di Pio VII restitutrice della Compagnia di Gesù, lo colmò di ineffabile allegrezza, ed adempì il desiderio nudrito sempre accesissimo di arrolarsi al suo vessillo, fin da quando si ascrisse alla Società della Fede, che n' era un come corpo di preparamento. Volò dunque al noviziato insieme con altri assaissimi de' suoi confratelli, e fornite le consuete prove, al governo fu applicato dei due convitti, che correvano sotto nome di piccoli seminari di Bordeaux e di sant'Anna. Nel 1823 fu rivocato nella casa di probazione in Montrouge per gli esercizi del terzo anno. Quivi ebbe a cader sotto il ferro dei persecutori. Imperocchè destatasi novellamente l'ira dei tristi contro la Compagnia, suscitarono a' suoi danni una sì aspra guerra, che la denominazione di Gesuita era voce d'obbrobrio e d'infamia. Un giorno che dalla vicina città di Parigi il P. Roberto riducevasi a Montrouge, fu di repente assalito da una turba di bordaglia, che sboccata da una bisca lo intorniò ferendolo di vituperi. L'un d'essi armato di un falcione da orto, fatto impeto sopra il Padre gli fu addosso con un colpo sì violento a una spalla, che gli aperse larga squarciatura, e di poco fallà. che nol freddasse in terra. Di che egli si riputò avventuroso, per avere sparso quel suo sangue per l'onore di Gesù. VI. Interdetta l'educazion della gioventù nei collegi di Francia ai nostri, per le regie ordinanze del 1828, esso fu designato Superiore delle due residenze di Paray-le-Monial e di Laval, nelle quali si affaticò incessantemente a promuovere gl'interessi di Cristo coi prossimi. A lui era affidata la cura dei sacerdoti che ogni anno si raccoglievano in casa nostra numerosissimi, per attendervi agli esercizi spirituali del S. P.Or per agevolare ad essi l'intelligenza di quelle salutevolissime verità, compose un libro tutto acconcio alla interna coltura di un ecclesiastico, e spirante fuoco di fervore per infiammarne chi consideratamente lo legge. Per genio di umiltà propendendo egli ad un genere di vita occulta, e senza strepito di clamorosi ministeri, si occupò egli sempre quind'innanzi nell'interno delle nostre case a procurare quel ch'altri ottiene con l'estrinseco travaglio di viaggi, di predicazioni, di maneggi. Lo spirito della pietà incitavalo del continuo a disseminare divote pratiche, e a somministrar così pascolo ai vari talenti delle anime buone. VII. Istituì parecchie confraternite ad onore dei santi Angeli, e dettò un'opericciuola intorno al loro culto, che intitolò : Il mese Angelico. Parimente caldeggiò di gran nervo la divozione alla beata Vergine, ad ossequio della quale fondò congregazioni e ravviò pellegrinaggi. Ma il centro de'suoi amori stava nel Cuore divino di Gesù Cristo. Si era obligato con particolar voto di ampliarne a tutto suo potere la venerazione. Era pur assiduo nell'osservare la bella e fruttifera pratica appellata dell'Ora santa; e consiste nel pregare il giovedì per lo spazio di un'ora, davanti l'augusto Sagramento dell'altare. Ogni giovedì infallibilmente tra le nove e le dieci della sera trattenevasi innanzi quel tabernacolo misterioso che lo rapiva a dolcissimi sensi. E tante erano le celestiali consolazioni di che Iddio in questa osservanza dilettavalo, che si studiò di farne partecipi altri ancora, dilatandola per mezzo di un opuscolo che divulgò con la stampa. Il medesimo affetto al Cuore sagratissimo di Gesù, lo stimolò ad accalorare la causa di beatificazione della venerabil madre Margherita Maria Alacoque, nobilissimo strumento di cui si valse Iddio per innestare nella Chiesa questo soavissimo culto. Ondechè mentre era superiore in Paray-le-Monial patria della predetta Serva del Signore, spinse avanti nei processi le prove e i documenti da autenticarne virtù e miracoli. VIII. Era però in singolar modo sviscerato del casto Sposo di Maria sempre Vergine, S. Giuseppe. Aveva impetrata licenza dal Provinciale di erigere nel titolo di lui un santuario, come prima se gliene porgesse favorevole congiuntura. Vennegli questa alla mano in su l'estremo della vita, quando soggiornava a Laval. Gli capitarono copiose limosine e sussidi tanto abbondanti, che potè edificare di pianta una vaga cappellina a circa quattro miglia dalla città, e dedicarla al suo carissimo santo Patriarca. Fu tosto presa a frequentare da molti in pellegrinaggio, per le grazie che se ne riportavano: ed egli quantunque vecchio, spesso digiuno vi si conduceva a piedi, per celebrarvi con particolar suo gusto la Messa. IX. In sul finire d'ottobre del 1847, cadde in malattia tormentosissima: la quale fece spiccare in grado eroico la sommessione e la pazienza di che avea già ridondante il cuore. Non altre parole aveva in bocca che di rendimento di grazie a Bio pei dolori onde regalavalo, e che egli pregiava siccome carezze di amore finissimo. Voleva dipendere dai cenni dell'ubbidienza in ogni cosa: niente assaggiava se avanti non ne aveva licenza dal suo Superiore. La carità che in assisterlo gli usavano i domestici lo ricolmava di tale confusione, che inteneriva. All'annunziarglisi vicino il transito per la eternità, si ricompose ad un serenissimo sembiante, che mai più non alterò fino al giorno 18 febbraio del 1848, nel quale placidamente si addormentò in Cristo. Concorsero in folla gliabitatori di Laval a visitare il suo cadavere, e a testimoniargli quelle onorificenze che si soglion rendere solo a chi muore in concetto di bontà straordinaria. Ebbe sepoltura nella chiesolina di S. Giuseppe da lui levata, secondo che narrammo, nell'agro suburbano. Contava egli 80 anni di età, e 34 di vita religiosa nella Compagnia. Ex Vita P. VARIN.

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Questo sacerdote di Bordoux, nel 1815 scrisse “il Mese Angelico o la Devozione alla Regina e ai nove Cori degli Angeli”, [Le Mois angélique, ou la Dévotion à la reine et aux neuf choeurs des anges, érigée en confrérie par N. S. P. le pape Pie VII (par le P. Robert Debrosse)]  edito a Lione, con indulgenze concesse da Papa Pio VII a favore dell’omonima associazione.

Il Paragrafo quaranta di questo libro, riporta il titolo:

Dei Sette Angeli che circondano il Trono di Dio

Oltre alla distinzione degli Angeli nei nove Cori, i Libri Santi parlano in particolare di sette altri Angeli o Arcangeli che circondano il Trono di Dio. Si crede che questi Sette Angeli abbiano per particolare funzione quella di combattere ciascuno dei peccati capitali, e di impedire con tutta la loro forza che Dio sia offeso sulla terra.  Noi conosciamo i nomi di soltanto tre di questi Angeli; conosciamo: San Michele, San Gabriele e San Raffaele. La scrittura non ci fa conoscere il nome degli altri quattro. Non c’è dubbio che questi sette Angeli siano dei Serafini. Quando lucifero, che si crede così essere uno dei principali Serafini, inorgoglì dell’eccellenza dei doni e della grazia di cui si vide arricchito, si rivoltò contro Dio e volle piazzare il suo trono al posto di quello dell’Eterno, San Michele fu scelto per combatterlo e si oppose alle sue orgogliosissime pretese: la battaglia fu terribile e la vittoria sembrò a lungo incerta; ma alla fine venne il premio della fedeltà di San Michele Arcangelo e del suo zelo per la gloria di Dio. Fu allora che lucifero, insieme agli Angeli suoi complici nella rivolta, fu scagliato via dal Cielo e precipitò per sempre nei bracieri dell’Inferno. Si crede che San Michele sia il primo dei Serafini e per conseguenza di tutta la milizia celeste. Nel Vecchio Testamento è stato ricordato e onorato come il protettore del Popolo di Dio; è poi della Chiesa universale, e in particolare della Francia. E’ San Michele che, secondo San Tommaso, è il soffio dello spirito del Salvatore, che darà la morte all’Anticristo; è lui che deve, alla fine dei tempi, combattere contro lucifero per la difesa della Chiesa, come lo ha combattuto all’inizio per la difesa degli Angeli; è lui che  che suonerà la tomba per fare uscire i morti dai loro sepolcri; è ancora il Santo Arcangelo che assiste i giusti e li protegge lungo la loro via, e soprattutto al momento temibile della morte, perché è allora che il demonio minaccioso si sforza per perderci; è lui infine che presenta gli uomini al giudizio di Dio e che introduce fino al Cielo le anime dei predestinati. Il suo nome significa Quis ut Deus? Chi come Dio? Che è come un’avviso, allorchè si erge contro gli Angeli apostati e allorchè reprime il loro orgoglio. San Gabriele fu l’ambasciatore del Re del Cielo, quando decise di operare il più grande dei misteri,  quello dell’incarnazione del Verbo, per la salvezza di tutti gli uomini. Fu anche lui che Dio, lungo tempo prima, scelse per fare al profeta Daniele la promessa più solenne. Il suo nome significa Forza di Dio; si deve, per mezzo di frequenti preghiere, ricorrere a questo Arcangelo, che per mezzo del suo particolare officio, ha una certo onorabile compito di imprimere in tutti i cuori, la conoscenza, la stima e l’amore di Gesù e di Maria, la sua Santissima Madre. L’Arcangelo San Raffaele, sotto le mentite spoglie di un Israelita, fu inviato da Dio dal giovane Tobia per servirgli da guida lungo tutto il suo viaggio, che egli dovette compiere per ordine di suo padre. E gli rese, durante tutto il corso di questo cammino, tutti i servizi che ci si potesse attendere della più generosa e della più tenera carità; lo salva dalla furia di un pesce mostruoso che lo voleva divorare; gli fa contrarre un santo matrimonio, a lui dona certe occasioni di saggi avvisi e di salutari consigli, di cui egli seppe approfittare…”.