IL CANONICO GIUSEPPE FERRIGNO (1844 - ?) RETTORE DEL SEMINARIO ARCIVESCOVILE DI PALERMO

Carmine Alvino

Breve Biografia

Traiamo molte notizie su questa singolare personalità dell'800 siciliano nel testo "Atti dell'Accademia cattolica palermitana" - Anni 1888-1889 - volume terzo , edita a Palermo nel 1893, accademia retta dal prof. Michele Cascavilla. In tale volume trovasi il capitolo "sulla vita e sulle opere del Can. Giuseppe Ferrigno", da pag. 139 e ss

La bella biografia dell'amico, e pure canonico Isidoro Carini - breve sintesi

Il nostro Canonico" era nato il 26 febbraio del 44 ed aveva frequentato « le Scuole de' Padri Gesuiti... Fu li che il pronto ingegno del Ferrigno si apri di buon'ora alle bellezze di Virgilio e d'Orazio, e cominciò ad impararvi l'incanto dello stile, l'armonia, l'eleganza, cedro che i classici lavori perpetua tra la farragine de' perituri... I Padri Gesuiti , vennero espulsi nel 60 dal Generale Garibaldi quali perfidiosi , micidiali, felloni contro alla patria, eppure in mezzo ai più sinceri rimpianti dei padri di famiglia ! Il giovinetto Ferrigno, non meno provetto nella pietà che nelle lettere alla loro scuola, un anno appresso seguivali generosamente nell'esilio, ed entrava nella Compagnia.

Fu a Malta; vide Marsiglia, Aix, Avignone; in quest'ultima città cominciò il suo noviziato, ma nel 63 già trovavasi in Roma.

Ivi si uni con filiale affetto al Padre Leonardo Giribaldi, Rettore della Casa di Sant'Andrea al Quirinale, uomo di specchiatissima virtù, ed ebbe professore in latinità e belle lettere il Padre Giuseppe Melandri. 

In filosofia ebbe poi maestro il Padre Domenico Palmieri; in divinità, il dottissimo e piissimo Padre Franzelin, indi Cardinale; in altri rami del sapere, udi le lezioni di uomini quali il Padre Alessandro Caretti, professore di Dritto Naturale e Filosofia in quella Pontificia Università Gregoriana; il Padre Angelo Secchi, l'astronomo maggiore del secolo, a cui devesi, non foss'altro, aver creato la scienza della fisica solare; e, senz'assorgere tant'alto, i Tongiorgi, i Pianciani, i Foglini, i cui nomi già dicono abbastanza.

Conseguì il nostro Giuseppe la laurea dottorale in tutte le scienze filosofiche.

E conobbe infine (chè il solo conoscere uomini insigni per dottrina e virtù non conferisce poco alla morale educazione de' giovani) altri chiari religiosi della Compagnia, come i Padri Francesco Patrizi, Stanislao Ferrari, Matteo Liberatore, Camillo Mazzella (adesso ornamento pur egli della romana porpora) Sebastiano Sanguineti ed altri.

Fra questi non voglio dimenticare il Padre Giovanni Perrone; in cui onore tenendosi nel 1865 un'accademia poetica, nell'Aula Massima del Collegio Romano, giusto per celebrare il giubileo sacerdotale dell'illustre teologo , il Ferrigno, che già in tutte le accademie figurava vantaggiosamente, vi recitò certi graziosi e scherzevoli ottonari, che rivelarono in lui anche attitudine non poca pel genere burlesco, nel quale poi si distinse. 

Opera del Ferrigno durante il colera

Egli potè ... vedere, nel 67, le feste pel XVIII centenario di S. Pietro. Nell'anno stesso fu potentemente scosso dal sublime eroismo, con cui immolossi pel suo popolo il Cardinale Altieri. Assisteva il Ferrigno nell'Aula Massima del Collegio Romano ad una pubblica mostra scientifica, a cui presiedeva il Cardinale.

Sorrideva amorosamente il Porporato al valoroso giovane, che sosteneva la grandine delle difficoltà; quando, nel meglio della lotta scientifica , gli vien recato alle mani improvvisamente un telegramma.

Lo apre ansioso : e leggerlo, e rizzarsi in piedi (racconto quasi colle parole del nostro Canonico) e rompere a mezzo la disputa, ed accommiatarsi bruscamente con tutti, e correre al suo palazzo, e stendere su due piedi un testamento, e volare ad Albano, dov'era scoppiato tremenda mente il colera , fu un punto solo.

Infuse in tutti coraggio ; giunse fin a prendere egli stesso sulle spalle i cadaveri, e, finalmente, soccombette anche lui; pastor buono che muore per le sue pecore, modello de' Vescovi, onor della Chiesa e del Sacro Collegio , generoso martire di carità.

Signori, chi avea visto da vicino si memorando esempio ben trovò facile nell'infezione dell'85 compiere il dover suo di sacerdote con tanta abnegazione e con tanta modestia, quante il nostro Giuseppe ne dimostrò.

In quel periodo di sua vita, a cui egli tornava sempre con piacere, insegnò Belle Lettere, benchè non sacerdote ancora, in vari Collegi, come a Terracina ed a Sezze; anzi, nell'anno scolastico 1868-69, lo troviamo già sulla cattedra di letteratura nell'Università Gregoriana.

Fu ivi che, ricorrendo l'annuale commemorazione accademica in lode dell' augusto fondatore del Collegio, la santa memoria di Gregorio XIII, il Ferrigno, ch'era il più giovane tra i professori della celebre Università, venne prescelto a leggervi la consueta orazione latina, che possediamo stampata, ed è caldissima d'eloquenza ed ornata di classiche forme.

Ottimo poeta e scrittore - musa ispiratrice Maria Vergine

A lui piuttosto, sin dalla verde età, si era appresa l'apollinea febbre della poesia. Il Can. Ferrigno ebbe, quanto a sè, animo nobile e gentile, che ben vediamo specchiato nelle sue opere.  Divoto come fu sempre della Beatissima Vergine, volle poi il nostro amico cantare in poesia i simboli, sotto cui le Sacre Carte ne adombrarono i pregi singolari. A tal uopo scelse il sonetto, ch'è vera pietra di paragone per i poeti, e per assai di loro fatale scoglio; il sonetto ch'è, direi, di un sangue con l'epigramma greco e latino, e la più lucente ed amabile forma in tutta la nostra lirica.

Ogni simbolo scritturale avrà il suo sonetto che lo spieghi, e lo applichi alla Gran Madre di Dio.

Sono del 71 questi quadretti fiamminghi, in cui mise in versi gli emblemi della Tutta Santa : l'Eden , l'Albero della vita, l'Arca Noetica, la Colomba, l'Iride, la Scala, il Roveto, il Vello, la Nube, il Fonte Sigillato, il Chiuso Giardino, il Giglio tra le spine, l'Aurora etc.

Per ogni sonetto precedono un passo della Scrittura ed un altro di un Padre della Chiesa.  La Madonna fu (e lo si è visto) la Musa ispiratrice de' migliori versi , che abbia mai scritto il nostro caro Giuseppe. 

Gli Scritti Latini del Ferrigno formano un bel volume in 16", di pagine 232, accurata edizione, che fu eseguita in Palermo nell' 86.

Precede una garbata ed elegantissima Prefazione in idioma italiano, in cui l'nutore propugna i vantaggi dello insegnamento classico, e sferza di santa ragione i nuovi metodi.

Di prose vi è il  menzionato  D: Laudibus Gregorii XIII,  Pontificis Marimi, Oratio Romae habita in Aula Marima Archigymnasii Gregoriani anno 1869; nella quale esalta, in egregia latinità, i grandi fatti di quel pontefice.

Il resto son versi; sono Egloghe, Elegie, Odi, Epigrammi; sono saffiche, esametri, endecasillabi. I temi quasi sempre sacri, od almeno morali.

Anche nelle composizioni latine la Madonna è la Musa più cara del nostro Giuseppe. Pregevole parmi, ad esempio, la versione latina del Vergine bella del Petrarca. Non mancano composizioni per S. Giuseppe, e, naturalmente, pe' Santi della Compagnia (a cui il Ferrigno rimase sempre e giustamente affezionatissimo) perciò Ignazio di Loyola, Francesco Saverio , Pietro Canisio, Stanislao Kostka , Luigi Gonzaga.

L' amore per il culto perduto sui Sette Angeli

Resta a considerare il Ferrigno come teologo.  Ingegno versatile, seppe da' lieti campi delle umane lettere rivolgersi a coltivare la scienza delle scienze.  Mente acuta, acconcia alle investigazioni teologiche, ci lasciò, nei due volumi de'  Sette  Angeli  Assistenti  dinanzi al trono di Dio, uno dei più notevoli ed originali lavori, che siensi pubblicati in Italia in questi nltimi tempi.   Il nostro Canonico, in principio, non avea per fermo avuto altra intenzione, che di scrivere un semplice opuscoletto storico sull'omonima chiesa di Palermo.  Però, ingolfatosi in quello studio, riuscì a creare una vera trattazione di argomento per só difficilissimo; nè solo difficile perchè nuovo, ma anche per chè d'indole delicata.  Dissi creare, e non mi par troppo ; poichè, sebbene alcuni teologi ed interpreti, il Salmerone, ad esempio, l'Alapide, il Suarez, il Vasquez, abbiano patrocinato la causa de' Sette Angeli, i Padri attengonsi per solito al senso mistico pure non rigettando positivamente il proprio e letterale. La Chiesa, d'altro canto, non riconosce che tre soli nomi di Angeli , i biblici di Gabriele, Michele, Raffaele.  Il nostro Giuseppe messosi a indagare le Scritture, i Padri , i teologi sul punto de' Sette Angeli Principi, che avrebbero l'ufficio di più specialmente assistere innanzi al cospetto della Triade Sacrosanta, saviamente distinse la quistione della loro esistenza da quella de' nomi.

Come nacque l'amore del Ferrigno per i Sette Arcangeli lo ricaviamo dalle sue stesse parole riportate ancora una volta nella biografia dell'amico Isidoro Carini:

« Avvenendomi un giorno a passare per la via, che resta dietro la tribuna del Duomo, andava cogli occhi ricercando invano un illustre Monastero, che da secoli vi sorgea, e chiamavasi de' Sette Angeli. In quella vece non vi trovai che un piano, ove stentatamente cresceano recenti e sterili alberelli, che il senno de' demolitori vi avea trapi antato per compensare la perdita dell'antico e sacro edifizio. Mi sovvenni d'un tempio, che sin dall'infanzia vi avea veduto sorger d'allato, e pur da' Sette Angeli prendeva il nome: e ve lo rinvenni. Ma le porte eran chiuse al pubblico culto, e lo stemma della massoneria vi campeggiava sulla facciata, in atto d'insulto alla religione ed al diritto. Mi cadde allora in mente di scrivere una qualche cosa, che potesse far comprendere a' miei concittadini di quale importanza fosse il mantenimento di quella chiesa, per sottrarla, se mai fosse stato possibile, a nuove profanazioni, e restituirla al sacro culto. Quel tempio infatti è il solo in tutto il mondo che sia dedicato ai Sette Angeli': di esso parlano i più rinomati scrittori del cattolicismo: esso serve a' teologi come argomento di fatto per provare la legittimità del culto dei Sette Angeli : esso, benché piccolo di mole, ha saputo spargere il suo nome per tutta quanta la terra. »

Fu poi nel 1516, che vennero discoperte e rinnovate nella menzionata chiesa le vetuste immagini de' Sette Angeli, secondo pur narra CORNELIO ALAPIDE.

È noto infine, come dalla Sicilia il culto passasse in Roma, e come le terme di Diocleziano sieno state da Michelangelo trasformate nel tempio di S. Maria degli Angeli,  ossia de'  Sette Angeli. 

Ravvivar questo culto, di fronte alla demonolatria de' nostri tempi, era il santo scopo del Ferrigno.

Materia dell'opera sui Sette Arcangeli del Ferrigno

Circa alla prima, ne riportò convinzione, non trattarsi già d'una pia credenza, si di una teologica verità, allorchè si ritiene il Settenario Angelico nel senso proprio, nè punto metaforico; di sette veri spiriti, cioè, eccelsi, nobilissimi, che quasi lampane accese se ne stiano riverenti davanti a Dio.

Il dotto Canonico, in una savia Introduzione, discorre del numero settenario, delle proprietà che gli si attribuivano, del mistero che vi si nascondeva.

Poscia divide l'opera in sette libri; ne' quali intendeva provare l'esistenza de' Sette Angeli coll'autorità delle Divine Scritture, colle interpretazioni dei Padri e de' teologi , colla storia del culto che hanno già ricevuto.

Proponevasi anche parlare de' nomi e ministeri loro, dell'ampliamento che dovrebbe avere il loro culto, del modo pratico come dovremmo venerarli per guadagnarcene la protezione.

Di questi sette Libri non ne forìi che due, ciascuno in un volume.

Contenuto del libro primo

Il primo, in cui discutonsi le testimonianze bibliche e mettesi in sodo che nelle Sacre Scritture veramente ci è rivelato il settenario degli Angeli Principi, va suddiviso in tre parti, a tre riducendosi siffatte testimonianze. Sono il Libro di Tobia, il Vaticinio di Zaccaria , l'Apocalisse di S. Giovanni. Il nostro Canonico adduce i passi, esamina il testo latino, e lo conferma col greco. Invero, il più degli interpreti pei Sette Angeli intende i sette doni dello Spirito Santo, o le sette virtù ossia attributi della Provvidenza divina nel governo del mondo, o i sette Vescovi d'Asia Minore, o sivvero un numero indeterminato e perciò tutta la moltitudine angelica , od anche gli Angeli Custodi delle menzionate sette Chiese. Il Ferrigno giunse a rendersi familiari tutti gli esegeti che trattano, in un senso o in un altro, il suo tema: il Tirino, l’Alapide , il Ribera, ecc. Non v'ha, alla lettera , interpretazione di commentatore di pregio, ch'ei non adduca. Per lo più si attiene all’Alapide.

Ma l'avversario che specialmente combatte è Ludovico Alcazar, il quale nella Vestigatio in Apocalypsin sostenne l'inesistenza dei Sette Angeli.

 Il canonico siciliano non dissimula le difficoltà; tutto espone con pienezza imparziale. Procede cauto , serrato, ordinatissimo, e con tale apparato di erudizione, che niuno se ne aspetterebbe tanta da un poeta: erudizione inoltre punto indigesta, anzi di buona lega.

Cita opere rare, che si è procacciato a gran fatica. Discute tranquillo; sgombra il terreno dalle difficoltà; nulla avventura di capo; buon esegeta si mostra , dotto, accurato , nè dalle regole di retta ermeneutica è mai che si discosti. Prova l'identità dei Sette Angeli Principi coi sette delle trombe e delle ampolle dell'ira di Dio. E i sette candelabri dell'Apocalisse, le sette stelle, le sette lampade che ardono dinanzi al trono divino , le sette corna, i setti occhi dell'Agnello, i sette suggelli riavvicina, illustra, dichiara.

Contenuto del libro secondo

Il Libro II, diretto a dimostrare l'esistenza dei Sette Angeli coll'autorità dei Padri , è anch'esso tripartito. La Parte Prima tratta l'argomento in rapporto alla disciplina dell'arcano. Perchè mai i Padri, che nelle opere loro toccano dei Sette Principi Assistenti, altro non sono che punti nell'immensità dello spazio?  Per la disciplina dell'arcano. 

Con essa spiega il nostro Giuseppe il silenzio di quegli antichi, ed insieme espone gli errori delle sette giudaiche ed ereticali intorno agli Angeli. Non che lasciar da canto le difficoltà, le presenta nella lor forza e ne cava anzi partito. La Parte Seconda , che è trattazione piena sulle opere dionisiane, studia il tema in rapporto al Libro della Celeste Gerarchia. Dimostra che la detta opera non fu scritta nel primo secolo, nè dall'Areopagita; nessun Padre de' primi tre secoli la cita mai; tampoco alcunodel IV ne parla.

Il Ferrigno, con ottima critica, ne fissa la origine fra il principio del V e quello del VI; discorre la dottrina dei nove cori, che appena può a vversarsi senza temerità, e la presenta non contraria all'esistenza dei Sette Angeli.

La Parte Terza infine discute le testimonianze patristiche, e le dispiega cominciando dal Pastore di Hermas agli Stromati di Clemente Alessandrino, a S. Cipriano, S. Ireneo, S. Epifanio, S. Massimo, Giorgio Pachimera, Andrea Cesariense, Areta Vescovo di Cesarea nella Cappadocia. Accanto alle testimonianze dei Padri pone l'autore le stravaganze delle sette gnostiche, le superstizioni della cabala, i delirî della magia e della astrologia.

Terminata l'epoca patristica, dovea proceder oltre.

Morte, ahimè! glielo ha per sempre impedito.

Mi ricordo, che in una delle ultime sue visite fattemi in Vaticano, in gennaio di quest'anno, mi trattenne a lungo sul suo argomento prediletto, e mi chiese notizie sul culto; gli mostrai alcune tavole iconografiche, e qualche pagina del Bullettino di Archeologia Cristiana. 

Ebbene! Cosi incompleta com'è, l'opera del rimpianto amico rimane una delle più notevoli, che abbia prodotto in teologia il clero italiano a' di nostri. Se ci fosse venuta di oltralpi, state sicuri che sarebbe stata levata alle stelle, esaltata, diffusa. Fra noi pochi la lessero. È lavoro ben concepito, ben distribuito, di molta dottrina, di forte ragionamento, e, comeche per sè medesimo l'argomento sia arido ed astruso, il Ferrigno, per sovrappiù, lo rese di lettura dilettevole (caso ra ro in opere siffatte) gradito per eleganza e perspicuità d dettato. Il nostro amico conoscea la misura nell'erudizione, il possedeva l'arte di fare un libro.

Questi due preziosi volume sul Settenario Angelico rimarranno dunque a testimoniare quei che avrebbe saputo fare, se troncata non gli fosse stata così inopinatamente la vita. 

Scopre e ricompone l' "Opus de Septem Spiritibus" di Tommaso Bellorosso

A lui anche la capacità di ricostruire parte dell'opera del Canonico Tommaso Bellorosso, che era andata perduta, come egli scrive subito sotto l'epigrafe, con calligrafia propria in tal modo : « «L’autore è certissimamente Tommaso Belloroso // inventore dell’immagine dei Sette Angeli di Palermo // Giuseppe Ferrigno» (sec. XIX) », e lo possiamo notare noi, avendo in mano l'opera, come l'ha notato il prof. Federico Martino in PER LA STORIA DEGLI AUTOGRAFI DI TOMMASO BELLORUSSO, rivista Mediterranea.

Sintesi dell'attività svolta dal Ferrigno

Durante la seconda metà del XIX secolo , il sac. siciliano, Giuseppe Ferrigno, dottore in filosofia e Teologia Sacra , Deputato del Seminario Greco, Fondatore e Vice Presidente dell'Accademia Cattolica Palermitana, Socio dell'Accademia di Religione Cattolica in Roma , noto ai Cardinali Borromeo, BArtolini, , Jacobini e Pitra,  scrisse un’opera denominata i Sette Angeli Assistenti davanti al Trono di Dio, in due volumi,  edita a Palermo nella seconda metà del sec. XIX dopo che il tempio dei Sette Angeli fu profanato dalle truppe garibaldine che lo rasero al suolo quasi del tutto, durante una sortita, cancellando dalla memoria dei fedeli questi solerti ausiliatori di Cristo.

L’opera parla della dottrina dell’arcano e della circostanza che i Sette Angeli costituiscono una devozione fondata biblicamente a dispetto della dottrina dei nove cori che invece non e’ descritta nella Bibbia. La riflessione operata dal Sac. Palermitano ci illumina sulla questione e chiarisce anche il fraintendimento dottrinario operato dall’Angelologia nel descrivere i sistemi delle celesti scienze:  

“Non si trova mai nelle scritture un passo, dove parlando dei cori degli Angeli si adoperi il numero nove, non si trova mai un passo, dove esponendosi i cori degli Angeli, si riportino di seguito tutti e nove, anche senza determinazione esplicita di numero” ed ancora “E’ di fede, che tra gli Angeli sia distinzione di cori, ma non è parimenti di fede, che questa distinzione debba esser novenaria”.“Ciò nonostante”, sostiene ancora il Ferrigno, “ l'opinione che tiene esser nove i cori rivelati nelle scritture è degna d'ogni rispetto per l'autorità che sempre ha avuto ed ha nella Chiesa l' opera della Celeste Gerarchia e per l' autorità di San Gregorio e di tutti gli altri teologi, che la propugnarono. Altro è dire che sia da ammettere la dottrina dei nove cori nel senso sovraccennato, ed altro è dire che siano da ammettere eziandio tutte le altre teorie onde l'autore della Celeste Gerarchia la contornò. Tutto ciò, ch'egli non può provare evidentemente colle scritture e coll'insegnamento de' Padri, non ha altro peso, che quello della sua autorità, e non esprime che le sue dotte congetture.  E’ certo, che oltre ai cori rivelali nelle scritture , ve ne siano degli altri sconosciuti. Perché Paolo affermò esservi de' cori, che si nominano, non solo in questo secolo, ma anche nel futuro. Perché moltissimi Padri interpretarono il testo di Paolo in questo senso, ed espressamente sostennero che svariatissimi cori ci restano ancora a conoscere. Perchè lo stesso autore della Celeste Gerarchia afferma, ch'egli intende soltanto parlare de' cori che conosciamo dalle scritture e che Dio solo conosce il vero numero de' cori, e le loro disposizioni. Non direi coll'autore della Celeste Gerarchia, che tutte le angeliche schiere si dividano in nove cori , ma piuttosto che tra tutti i cori degli angeli nove son quelli che Dio ci ha rivelato nelle scritture. Ed in vero non comincia egli dall' affermare, che Dio solo può sapere il vero numero de' cori? Come dunque può asserire, che tutte le angeliche schiere son divise in tre gerarchie e nove cori? (questa affermazione invero è decisiva e dirimente n.d.a). “O nei nove cori non sono compresi tutti gli angeli o è falso che Dio solo conosca il numero de' cori. Non direi col nostro autore che la prima gerarchia, composta da' Troni, da' Cherubini e da' Serafini, sia certamente collocata “immediate iuxta deum”, non la chiamerei “immediate Deo assistentem”.  Giacchè se tra i cori che Dio solo conosce, vi fosseir degli altri , superiori a quelli rivelati nelle scritture, dove si collocherebbero? Ci vuol molta circospezione nell'assegnar l'ordine dei diversi cori, giacché ogni teologo, che ne parla, assegna loro un posto, protestando che quello appunto ricavasi dalle scritture, e nondimeno l'uno discorda spesso dall'altro”.

 Ferrigno contesta tutte le eccezioni formulate dai controdeduttori nei secoli, i quali per giustificare la teoria novenaria, scelsero di sacrifichare sull’altare delle loro supposizioni, il significato chiaro del Sacro Testo, in questo modo:  

“ L'argomento degli avversari poggia sopra un doppio equivoco. Suppone primieramente che ciascuno degli Angeli Principi debba presiedere a ciascuno de' cori. Suppone in secondo luogo che dove essi non fossero compresi nei  nove cori, ne formerebbero un decimo. Ora  una e l’ altra  supposizione è falsa. E’falsa la prima, perchè ciascun coro (…) ha il suo duce, cioè il più eccelso degli angeli, che vi si comprendono. Or questi presiede agli spiriti del suo coro, ma sottostà alla sua volta per eccellenza e ministero all'ultimo Angelo del coro, che gli sta immediatamente di sopra. Il primo tra gli Angeli è inferiore all'ultimo degli Arcangeli, il primo tra gli Arcangeli all'ultimo dei Principali, il primo tra' Principati all'ultimo delle Potestà, e così via via, sino al primo de' Serafini, il quale ha il comando supremo del suo coro”.   “Or è chiaro”, osserva ancora Ferrigno “che in un esercito composto di nove legioni non bastano i nove duci , de' quali ognuno comanda la sua. Ma vi abbisogna eziandio un duce supremo, che comandi a tutti, anche a' duci subalterni, ed un corteggio di altri sommi Principi, che lo accompagnino, lo consiglino, e lo aiutino al comando generale di tutte le schiere. E questo, a nostro modo d'in tendere, come uno stato maggiore. Or chi dirà mai, che il numero de' personaggi, i quali insieme al sommo capitano formano cotesto stato maggiore, debba esser necessariamente uguale al numero delle legioni, che compongono l'esercito? Chi dirà mai che lo stalo maggiore formi un' altra legione, dimodoché non più nove, ma dieci debbano dirsi le legioni componenti l'esercito? (…) diciamo, che nove sono i cori degli angeli, che ciascun di essi è immediatamente comandato dal più eccelso spirito che vi si trova, che tutti e nove i cori dipendono da Michele, sommo duce di tutto l'esercito celeste, che Michele è corteggiato a destra ed a sinistra da altri sei sommi duci, i quali sono eziandio superiori a tutte le legioni, e solo da lui dipendono”.  Questo sembra  dunque il consiglio supremo degli Angeli, che:  “… con a capo Michele assiste continuamente dinanzi alla Santissima Triade, prende immediatamente gli ordini da Dio, comunica a'cori subalterni i divini voleri, dispone, comanda e regge le mosse di tutte le schiere angeliche. Il celeste esercito è composto di tre gerarchie, ogni gerarchia di tre cori, il consiglio supremo di sette Principi….. Tre sono le persone della Triade, e sette le celesti irradiazioni dello Spirito di Dio; tre divini attributi, potenza, sapienza, bontà, risplendono nella creazione, e sette sono i giorni, in cui questa si compie. Trentatrè anni visse Gesù Cristo, ed egli è il settantesimo settimo delle generazioni noverate da San Luca: tre ore stette vivo in croce, e sette parole pronunziò: tre giorni stette chiuso nel sepolcro, e nel settimo giorno della settimana risuscitò. Tre giorni Maria andò cercando il suo Gesù smarrito, tre giorni lo pianse nascosto nel sepolcro, e sette furori le spade, che le trafissero il cuore: al terzo giorno lo trovò nel tempio, al terzo giorno lo vide sorgere dal sepolcro, e sette allegrezze le giocondaron l'anima. Nell'uomo tre sono le potenze dell'anima , e sette i doni dello Spirito Santo, che debbono abbellirla: tre gradi ha la cristiana perfezione, purgativa, illuminativa, unitiva, e per mezzo di sette sacramenti vi si giunge: tre sono le classi de'giusti, penitenti, profìcienti, e perfetti, e sette le virtù, in cui debbono esercitarsi: tre sono le Chiese, militante, purgante, trionfante, e sette le epoche del Human Genere, e la settima è l'epoca del trionfo finale , che compie il giro del Sabbatismo cristiano.  Di tre Angeli conosciamo i nomi nelle scritture , e di sette sappiamo che sono i primi assistenti al divin trono: tre sono le angeliche gerarchie, ogni gerarchia di tre cori è composta, e sette sono i duci, che alle gerarchie ed a'cori comandano. Qual Contraddizione si ha dunque nel dire che ai nove Cori presiedano i Sette Angeli? Essi non apparterrebbero uno a ciascun coro, non formerebbero un decimo coro, ma una schiera settenaria e privilegiata al di sopra di tutti i cori , ferma ed immediatamente assistente dinanzi al trono di Dio. …Che se poi gli avversari volessero sostenere, che i Sette Angeli debbano necessariamente appartenere ad un coro, chi vieta loro di credere, ch'essi appartengano al coro de' Serafini, e ne siano i primi sette? Certamente tra l'uno e l'altro Serafino vi sarà differenza di gloria, di merito e di possanza; certamente i primi sette di quel coro saranno più eccelsi che gli altri. Se dunque da una parte nelle scritture ci si descrivono sette spiriti eminentissimi, che sono per antonomasia chiamati i Sette Angeli assistenti dinanzi al trono di Dio, e dall'altra gli avversari non vogliono collocarli al disopra de' nove cori, si dovrà certamente trovare in mezzo dei cori un posto, che sia loro convenevole.  Or dove li collocheranno? In uno de' primi otto cori ? Ma allora non potrebbero più chiamarsi per antonomasia gli assistenti al trono di Dio, perche i Serafini, che son più alto collocati e, son più vicini a Dio, meriterebbero a preferenza quel nome. Se dunque gli avversari persistono nel credere, che i Sette Angeli debbano appartenere ad uno dei nove Cori, per non discostarsi dal senso delle scritture debbono necessariamente collocarli nel coro de' Serafini. Ma anche in mezzo a questi debbono dar loro il primo luogo, perchè se li confondono col resto del coro, e non danno loro alcuna preminenza, essi diverrebbero assistenti al trono di Dio a quel modo che lo è il resto de' Serafini. Ed allora perchè le scritture ci dicono che gii Assistenti per antonomasia al trono di Dio sono i Sette? O dunque gli avversari convengono con noi noll' asserire che i Sette Angeli son collocati al di sopra di tutti i cori, o almeno debbono collocarli a capo del coro de' Serafini, dove ci sarebbe una ragione per poterli credere più immediatamente del resto del coro assistenti dinanzi al trono di Dio.  Ma è poi certo che i cori degli Angeli sieno proprio nove? Anche ammesso, che formino un tal numero quelli che ci son rivelati nelle scritture, certamente dalle scritture medesime, come abbiam veduto più sopra, i Padri de' primi secoli ricavarono esser  grande  il numero de' cori angelici ed a noi del tutto sconosciuto. Questa si può credere sentenza comune de' Padri. Or, posto ciò, anche dato che l'argomento degli avversari fondato sul nove avesse valore, diciamo, che essi solamente allora potrebbero arrecarcelo, quando si sapesse che nove sono, e non più di nove possono essere, i cori degli angeli. Ma giacché invece si sa, che nove son quelli soltanto che noi conosciamo , ed oltre a questi ve n' ha degli altri molti, a noi sconosciuti, qual forza possono più fare gli avversari sul loro nove? Non potrebbero esser settanta i cori degli Angeli? Non settecento? Non settemila? Non potrebbero essere anche di più? A quel modo che non solo le stelle, ma anche i sistemi celesti sfuggono al nostro sguardo, così sopra al nostro intelletto trasvolano gli ordini de beatissimi Spiriti. ….. Rispondiamo: Che esistano Sette Angeli supremi, chiamati per antonomasia gli assistenti al trono di Dio, lo sappiamo cortamente dalle scritture …. O dunque il numero ignoto de' cori è un settenario, o no. Se è un settenario, cade del tutto a terra l’ argomento degli avversari: se non lo è, ed allora col fallo stesso resta provato, che non v'ha contraddizione alcuna nell’ ammettere Sette Principi, superiori ad un gran numero di cori, che non sia settenario…. Oltre a ciò non crediamo sia priva di forza la seguente osservazione. Posto che il vero numero dei cori angelici, secondo ciò abbiamo veduto, ò sterminato, volendo ammettere, come dobbiamo, che Dio per sua mera bontà e per maggiore manifestazione della sua potenza voglia contrassegnare d'un suo specialissimo favore tra tutti i cori alcuni Angeli suoi più cari, li ponga immediatamente assistenti al suo trono, li costituisca Principi di tutte le innumerabili angeliche schiere, quanti crediamo noi che debbano essere costoro? Uno per ogni coro angelico? Ci sarebbe dell'ordine, ma finirebbe l'ipotesi d'uno specialissimo favore, essendo innumerevoli i cori. Un piccol numero qualunque? Ci sarebbe il favore specialissimo, ma non ci sarebbe dell'ordine. Ci vorrebbe dunque un numero, che fosse ristretto da una parte, ed avesse un ordine ed una proporzione coll' universalità dall' altra. Ora il numero, che goda di queste proprietà, è per confessione d' ognuno il sette. Però sette sono gli Angeli eccelsissimi, che al di sopra di tutti i cori si sollevano, e dinanzi al divin trono d'un modo tutto speciale e più d'ogni altro immediato si beatificano. Essi son pochi, perchè hanno un posto di singolarissima grazia, ma nella lor pochezza valgono ben acconciamente a rappresentare dinanzi al divino cospetto tutta la sterminata milizia delle celesti intelligenze, perchè il sette è numero di moltitudine, di universalità, di pienissima perfezione. Ma è meglio venire alle strette cogli avversari.  Non è del tutto certo se nelle scritture ci siano rivelati nove cori.Perchè non vi si trova mai un passo dove, parlando deicori , si adoperi il numero . Il Perchè non vi si trova mai un passo, dove, anche senza dichiarare esplicitamente il numero, sieno riportati di seguito tutti e nove i cori. Perchè gli antichi Padri non convennero mai sul novenario dei cori, e v' ebbe chi un maggior numero ne ammise, e chi un minore. Perchè gli stessi teologi moderni, dopo tutto quello che se n ò scritto per tanti secoli, ne parlano con titubanza. Perchè la Chiesa non ha voluto mai che si fabbricassero templi, e si celebrassero feste in onore de'nove cori. Dall'altra parte è certo, che nelle scritture ci siano rivelati i Sette Angeli.Perchè vi si trovano innumerevoli passi, dove, parlando di loro, è adoperato il numero Il Perchè vi si trovano de' passi, dove non solo è dichiarato esplicitamente il numero, ma son riportati di seguito tutti e sette gli angeli , com' è nell'Apocalisse al sonar delle trombe ed al riversare delle ampolle. Perchè nessuno degli antichi Padri fu loro contrario, come abbiamo veduto, ed alcuni espressamente li difesero, come vedremo.Perché i teologi moderni, nella loro maggior parte, sicuramente li difendono. Perchè la Chiesa ha permesso che si erigessero templi e si celebrassero feste ad onor loro, come si fa, per non dire d'altrove, in Sicilia. Or posto ciò, una delle due, o la dottrina dei nove cori può ben conciliarsi con quella dei Sette Angeli, o no. Se sì, e non ci sarà più luogo a discorrere; se no, ed allora è chiaro che deve prevalere la dottrina più certa, e che più chiaramente ci vien manifestata nelle scritture. La verità però si è, che la dottrina de'nove cori non è per nulla contraria all'esistenza de' Sette Angeli. L'opera della Coleste Gerarchia favorisce l’esistenza de' Sette Angeli. Non essendoci contraria la dottrina de' nove cori…. e non potendo ammettersi la divisione degli Angeli in assistenti e ministranti, come s'è provato nel primo libro, resta ben assodata resistenza dei Sette Angeli. Ma gli avversari soggiungono, che ciò nonostante resta pur vero, che un teologo eminentissimo, qual fu l'autore della Celeste Gerarchia, ci fu contrario. Perchè la dottrina de' nove cori, non già esposta come s'è fatto nel precedente capo, ma come vien presentata da lui, non si concilia coll' esistenza de' Sette Angeli. Perché la divisione degli Angeli in assistenti e ministranti è da lui creduta vera. Perchè, parlando egli di tutte le distribuzioni delle angeliche schiere, neppur cenno fece de' Sette Angeli Principi. Perchè, avendo egli largamente disputato sulle più sublimi elevatezze de' celesti cori, smentì col fatto ciò che abbiamo asserito nella prima parte intorno all'arcano. Rispondiamo: L'autore della C.G.  ammette, che, non solo tra' diversi cori, ma anche tra gli angeli di uno stesso coro vi è priorità (Illuminazione: dimodoché anche gli angeli d'uno stesso coro addivengono più vicini alla divina luce e più infiammati dalla divina carità mano mano che va crescendo in loro la priorità del posto, in cui sono collocati....Questo prova, che, anche secondo il nostro autore, i primi sette Serafini, più che gli altri dello stesso coro, partecipano dell’ ineffabile irradiazione che promana dalla Santissima Triade, e più da vicino e più propriamente le assistono. Il primo Serafino sarebbe il capo di tutte le angeliche schiere, e gli altri sei, che immediatamente lo seguono, andrebbero a poco a poco decrescendo in gloria, illuminazione e potenza, e sarebbero alla lor volta superiori a tutto il resto dei Serafini, e degli altri otto cori. Or quale difficoltà ciò presenta all'esistenza de' Sette Angeli? Sarebbe anche vero in tal caso, che i primi sette Angeli, più particolarmente degli altri, assistono dinanzi al trono di Dio. L' autore della protesta, che oltre a nove cori ve n'ha degli altri a lai sconosciuti: « Quantae quidem sint, et quales supercoelestium essentiarum dispositiones, et quo pacto earumdem sacri ordines initientur, solum exacte nosse censeo divinum illum, a quo consecrantur, principatum…”.  “ Non è affatto possibile” si chiede ancora l’autore “che i Sette Angeli, di cui così stupendamente e così spesso si parla nelle scritture, fossero sfuggiti all'attenzione di un Padre, che con fortissimo studio andò scrutando tutto ciò che nelle scritture intorno agli Angeli ci vien detto. Perché non è affatto possibile ch'egli li avesse voluto comprendere tra' nove cori, o, facendolo, non lo avesse detto espressamente. Perchè non è affatto possibile, ch'egli avesse taciuto intorno a' Sette Angeli, per esserne troppo facile la conoscenza. Perché non è affatto possibile, che quel numero non avesse prodotto alcuna difficoltà nella sua mente, e, producendovela, egli non si fosse accinto ad appianarla, od almeno, a dirne ciò che pensava. È necessario dunque affermare, che i Sette Angeli furon da lui collocati, o tra le Virtù più difficili a comprendere, o tra le Virtù nascoste nell'arcano. L'una cosa e l'altra ha solido fondamento, ed è favorevolissima a' Sette Angeli. Ma la seconda più che la prima: Perchè già abbiam provato, che l'esistenza de' Sette Angeli era una delle verità clic si coinprendeano nell'arcano. Perchè, s'egli non avesse voluto parlare de' Sette Angeli per esser troppo diffìcile il comprenderli, ne avrebbe almeno fatto leggiera menzione nel suo libro, avrebbe detto almeno, ch'egli non ne parlava per la sublimità con cui si presentavano alla sua mente. Ma il vedere che da una parte nelle scritture compariscono ad ogni piè sospinto, e dall'altra egli mantiene intorno a loro un silenzio rigorosissimo, sino a non volerne neppur profferire il nome, ci convince ch'egli ciò fece appositamente per non infranger la legge dell'arcano: “Arcana, quae captum nostrimi superant, silentio honorantes. “. … Oltre a ciò, scrutando attentissimamente le opere dionisiane, ci venne fatto di trovare nel libro de' un passo, sfuggito a tutti que' teologi, che han parlato de' Sette Angeli, dove l'autore, sotto velo ed in maniera arcana, fa menzione certissima di Angeli sopraeminenti, i quali non possono esser altri, che i sette Principi, di cui andiamo provando l'esistenza…. ci è caro potervi noverare eziandio l' autore della , e far vedere d' un modo innegabile, ch'egli, nella suhlimissima dottrina che espose intorno alle angeliche schiere, non intendea dir cosa, che fosse contraria a' Sette Angeli. Non si dica, che cosa contraria a' Sette Angeli intendesse egli dire, quando stabilì la divisione degli Angeli in assistenti e ministranti, da lui creduta vera. Giacché ciò è tanto lungi dal potersi sostenere, che moltissimi tra que' teologhi quali disputano su questa dottrina, ne fanno espressa ed onorevole eccezione po’ Sette Angeli. Ci basti, per non moltiplicare le citazioni, la sola autorità di Gabriele Vasquez, il quale, confutando le ragioni apportate da quelli, che credono siano spediti a’ ministeri anche gli angeli delle superiori gerarchie, arrivato all’argomento, che suol trarsi dal passo di Raffaele , il quale , benché supremo, fu spedito, invece di provare, come aveva fatto per gli altri angeli, che Raffaele è d’un ordine infimo, così risponde: « Tertius locus Scripturae prò priori sententia erat Tobiae 12, ubi Raphael, qui ad Tobiam missus est, dicitur unus ex septern spiritibus. Veruni hic locus minus babet momenti. Faternur enim Raphaelem esse unum ex septem Principibus, qui astant ante Deum: dicimus tamen hos Spiritus non esse Seraphinos, sed septem Angeles praepositos universo orbi, qui curam illius gerant, ut late ostendi supra disputatione 180, cap. 1.1 » Non è vero dunque che la dottrina degli assistenti e ministranti non possa conciliarsi coll’esistenza de’ Sette Angeli, perchè il Vasquez, ed altri moltissimi con lui, concedono potersi sostenere che solo gli ordini inferiori sono spediti a ministeri, ed eziandio ammettere che vi siano Sette Angeli nobilissimi ministranti ad un tempo ed assistenti. E la ragione, che ne danno, è questa, che, essendo i Sette Angeli superiori ad ogni coro, alla legge dei cori non vanno soggetti. Ben poteva dunque l’autore della dividere i cori degli Angeli in assistenti e ministranti, e nondimeno ammettere l’esistenza di Sette Principi, che accoppiassero in sè l’uma e l’altra funzione. Ma quest’ istessa conseguenza ricavasi anche meglio dal modo, con cui il nostro autore, e gli altri che in ciò lo seguirono, sostengono la suddetta dottrina. Si è obbiettato sempre contro di loro: Se solamente gli ordini inferiori sono spediti, come va che nella Genesi vediamo un Cherubino messo a guardia dell’Eden? Come va che ad Isaia apparvero due Serafini? Come va che Michele e Gabriele vennero in terra a portar le divine ambasciate? E l’autore della , seguito da tutti gli altri, risponde, che né il primo era un Cherubino, né i secondi Serafini, nè eran Michele e Gabriele gli ultimi due, ma tutti spiriti degli infimi ordini, i quali eran così chiamati appunto perchè da un vero Cherubino, da due veri Serafini, dal vero Michele e dal vero Gabriele avean ricevuto la missione, ed essendone rappresentanti, ne assumevano i nomi, a quel modo che gli Angeli apparsi a’ profeti, parlando a nome di Dio , diceano : Or l’autore della anche riguardo a’ Sette Angeli avrebbe potuto rispondere il medesimo. Essi appartengono al più alto coro, anzi stanno al di sopra di ogni coro, essi sono i precipui ed i più immediati assistenti al trono di Dio: e quando nelle scritture leggiamo ch’essi vanno a’ ministeri, non son essi che vanno, ma spiriti d’inferior condizione, i quali prendono il nome de’ Sette Angeli, appunto perchè in quel caso ne sono i rappresentanti, e ne hanno ricevuto l’ispirazione e la missione. Se l’argomento, secondo gli avversari, vale pe’ Cherubini, per i Serafini, per Gabriele, e per lo stesso Michele , sommo duce delle celesti schiere , perché non deve valere eziandio pe’ Sette Principi? Da tutto ciò si ricava quanto sia vero ciò che intendiamo provare, cioè che l’opera della favorisce l’esistenza de’ Sette Angeli. ….. Nel libro della Celeste Gerarchia non si parla che de’ cori, e pure è avvertito Timoteo a non comunicar questa dottrina a chi non è iniziato; ne parli solamente coi santi, ed anche con questi non tutto dichiaratamente disveli, ma lo faccia con quel sacrosanto riserbo, che a sacrosante cose si addice…. In secondo luogo autore mantenne un più rigido arcano, lasciando, nel libro stesso che era destinato al segreto, interamente nel silenzio i Sette Angeli Principi. In tutta opera non v’ è mai un luogo, dove se ne dica, prò o contro, una sola parola ; e queill’ istesso passo, tratto da’ , …é tale, che solamente argomentando vi si può intravedere ciò che l’autore pensasse intorno a’ Sette Angeli, Or che questo egli abbia fatto di proposito per conservare la legge dell’ arcano, si ricava da tutti quo’ luoghi dell’ opera, dove espressamente afferma d’ aver lasciato a bella posta di ragionare sulle più sublimi Intelligenze angeliche per avvolgerle dentro al misterioso silenzio dei primi secoli. Ci basti la sola testimonianza arrecata più sopra, nella quale dice di non aver fatto parola di alcune Virtù celesti per onorar col segreto le cose arcane: « Arcana, quae captimi nostrum superant, silentio honorantes”.