Pedro Maria Heredia del Rio e i Sette Arcangeli ( o Sette Spiriti Assistenti)

Studio, ricostruzione biografica, collezione di fonti a cura di Avv. Carmine Alvino e Dott. Javier Sorribes y Gracia
PEDRO MARIA HEREDIA DEL RIO
(1775 – 1852)
- BIOGRAFIA DEL PERSONAGGIO :
Nel sec XIX° – cosa più unica che rara nella storia dei processi di canonizzazione - si è assistito incredibilmente a diverse cause postulatorie per restaurare il Culto dei Sette Angeli.
Protagonista indiscusso di questa straordinaria iniziativa fu il teologo spagnolo PEDRO MARIA HEREDIA DEL RIO .
Si tratta di un erudito, politico, poeta e scrittore spagnolo che mosso da incredibile fervore salvò il culto degli Arcangeli.
- LA BIOGRAFIA DI MARIA HEREDIA GRAZIE AL LONTANO PRONIPOTE. DOTT. JAVIER SORRIBES Y GRACIA
Recentemente, il dott. Javier Sorribes y Gracia, pronipote di Pedro Maria Heredia ci ha contattato onorandoci della sua amicizia concedendoci gentilmente di pubblicare, una biografia approfondita del suo Avo , che noi mettiamo a conoscenza dei nostri amatissimi lettori.
Altre notizie si trovano in
"http://www.laopiniondecabra.com/ampliar.php?sec=especiales&sub=colaborac..."
e nella sua biografia poetica: “J.M.J. Petrus Maria Heredia Del Rio in in honorem patrum suorum hos humiles” edita nel 1843.
Pedro Heredia del Río, nacque il 15 settembre 1775.
E' stato sottotenente il 20/07/1793, diplomato tenente di fanteria con stipendio, per la distinta difesa di Irati il 29/05/1794, tenente il 31/3/1795 , Capitano il 14/07/1795.
Si ritirò con giurisdizione senza stipendio, il 28/03/1800.
Tornò a servire nella campagna andalusa contro il generale Buonaparte Dupont nel 1808, con i suoi fratelli D. Segundo come cappellano e D. Tomás come avventuriero, e sotto il governo della nazione fu aggiunto dalla reggenza di questo al Stato Maggiore di Cadice nella classe di Capitano di Fanteria nell'aprile 1810 ( i suoi nemici avevano preso parte dei suoi possedimenti fino a quando non lasciarono la Spagna libera, e una volta che il Re fu riportato al suo trono, si ritirò di nuovo con licenza assoluta dall'esercito, indossando l'uniforme e riottenendo il privilegio).
Pedro Heredia del Río era conosciuto a Cabra come il "Capitano delle commedie" proprio per il suo rifiuto di tutti i tipi di spettacoli teatrali ai suoi tempi. Viveva a Cabra lungo la strada Priego e a Córdoba, in via Heredia, che prende il nome in onore dei suoi antenati.
Pedro aveva una reputazione di uomo profondamente religioso, scrisse numerosi libri e pubblicò anche altri autori, ma lo fece sempre a proprie spese e non vendeva i libri, li regalava ai suoi amici.
Contrasta la sua carriera militare con la sua vita devota e studente di religione.
Due zii dei suoi genitori servono come un punto di possibili influenze familiari: D. Francisco Manuel de Heredia Cabrera y Medrano (1710-1776), zio di suo padre, era il colonnello, guardia in corpo con Felipe V e capitano dei draghi della regina a alla fine della sua vita fu il gesuita padre Manuel, missionario nelle Indie; Dà. Teresa Jacinta de S. Joseph, zia di sua madre, era Madre Teresa Jacinta de S. Joseph, una carmelitana scalza professa nel 1705 nel convento di Santa Ana e San José a Madrid, situato dal 1616 al 1810 nell'attuale Plaza de Santa Ana de Madrid, essendo in quell'anno 1810 saccheggiata e demolita dalle truppe di Bonaparte.
Nel 1815 Pedro Heredia trovò la lettera "Il soldato cattolico nella guerra religiosa" che padre Diego José de Cadiz aveva scritto a suo nipote Antonio Ximenez y Caamaño nel 1794, ( padre Diego José de Cadiz morì nel 1801).
Pedro Heredia del Río scrisse al re Fernando VII, proponendo che questa lettera fosse distribuita al corpo dell'esercito e della marina e ai cappellani e collegi militari.
Il Re vide con particolare soddisfazione la richiesta del Capitano addetto allo Stato Maggiore, e di conseguenza decise di ringraziarlo e di tenerlo presente d'ora in poi, era il 19 giugno 1815.
Pedro Heredia del Rio ha contribuito , a sue spese, alla stampa di una parte delle copie e il 19 dicembre 1815 il re ordinò che fossero distribuite all'esercito.
Nel 1824 Pedro Heredia scrisse al re offrendo le sue dimissioni agli stipendi che gli corrispondevano come addetto allo Stato maggiore di Cadice.
C'è una devozione speciale per gli angeli ad Aguilar de la Frontera, per la quale Pedro Heredia aveva scritto nel 1823 una raccolta di varie memorie e preghiere in onore dei santi angeli, e in particolare dei loro sette principi, per eccitare la loro devozione. Secondo il suo pensiero ogni regno ha il suo angelo tutelare.
Pedro Heredia scrive di nuovo al re nel 1824 e gli chiede di emanare una bolla papale per stabilire la preghiera all'angelo custode, come avviene in altri regni, e per stabilire un parte all'Angelo Custode in ringraziamento per i benefici ricevuti, e per implorare la sua assistenza in tutte le necessità del Regno, e si offre di sopportare a sue spese le spese che la spedizione a Roma provocherà.
Il re accetta volentieri e Pedro Heredia del Río fa un pellegrinaggio a Roma nell'estate del 1825 insieme a suo fratello Segundo. "Sono arrivati a Roma il 16 ottobre, ottenendo il Santo Giubileo, e poco dopo essere arrivato a Roma era già molto conosciuto per la sua straordinaria pietà, per la sua virtù esemplare e per la sua conoscenza.
- GIUNTO A ROMA NEL 1825 - IMPLORA IL RICONOSCIMENTO DELLA VIRGEN DE LA SIERRA E DIVIENE AMICO DEL CARD. ZURLA E GLI VIENE CONSEGNATO IL CORPO DI SAN FELICIANO MARTIRE
Nell'anno 1825, Don Pedro M.ª de Heredia, già con il grado di capitano e accompagnato da suo fratello Don Segundo, marciarono in pellegrinaggio a Roma per partecipare il Santo Giubileo: lì potè dare esempi pubblici della sua straordinaria pietà, della sua virtù esemplare e della sua conoscenza religiosa.
Uno dei suoi obiettivi era anche di implorare davanti alla Santa Sede la dichiarazione di un miracolo della Vergine della Sierra.
Egli ricostruì questo miracolo, secondo cui, la Vergine aveva miracolato un tale di nome Juan Granados, di 30 anni, cui la Madre CEleste aveva ridato la vista dopo 30 anni di cecità.
Era stato avviato un fascicolo nel vescovato di Cordova, ma la causa non stava avanzando, quindi Don Pedro decise di andare a Roma e insistere lì.
Pur non ottenendo l'uspicato riconoscimento, ebbe il merito di diffondere la fama del miracolo in tutto il Vaticano, così da apparire persona virtuosa e venerabile, nonchè degna di considerazione.
A causa del suo buon nome il 10 ottobre 1827, per decisione di papa Leone XII, gli fu donata una reliquia di San Feliciano, un vetro macchiato del suo sangue, estratto dalle catacombe dove fu sepolto il martire romano, dai tempi di Diocleziano. Fu proprio il Cardinale D. Plácido Zurla, dell'Ordine di San Benedetto, Vicario generale di Papa Leone XII e giudice ordinario della sua curia romana e del suo distretto, - FUTURO PROTAGONISTA DELLE CAUSE a consegnarli, su richiesta di Sua Santità, il corpo di San Feliciano Mártire, e il sacro vetro macchiato del suo sangue, estratto dalle catacombe dove fu sepolto.
Ottenuti i permessi, D.Pedro commissionò che la reliquia fosse inserita in un'immagine di cera con l'effige del santo martire, e non volendo conservare per sé il sacro corpo di San Feliciano, dopo averlo esposto alla pubblica venerazione in varie chiese del Roma (Capilla de Santa Cita, chiesa di Santa Cruz de Luca), lo inviò in Spagna, per essere consegnato a suo fratello D. Tomás, vicino di Aguilar de la Frontera.
Era sua intenzione che San Feliciano ricevesse il culto in una delle cappelle di cui D. Pedro era patrono a Cabra: quella di Santa Catalina, nella chiesa di Santo Domingo de Guzmán, o in quella del Sagrario della parrocchia di La Asunción e Angeles, dove lui ei suoi fratelli erano stati battezzati. Il Santo Corpo giunse al porto di Malaga l'8 maggio 1845, fu riconosciuto da una commissione di canonici, che trovarono un vetro rotto, ma le reliquie intatte.
Portarono l'urna al convento di Santa Elena, sostituirono il vetro e sigillarono la testa delle viti con quella di quella chiesa cattedrale, certificandolo dal Vicario capitolare. Le reliquie furono esposte lì e il fervore per i miracoli attribuiti era tale che dovettero installare una recinzione, ed era sorvegliata da un checkpoint della Guardia Civile. D. Tomás de Heredia inviò i suoi figli José e Fulgencio con 8 uomini di Aguilar a guidare il Santo. Partirono da Malaga il 12 giugno 1845, arrivando il 24 a casa di Tomás ad Aguilar.
L'immagine di San Feliciano rimase ad Aguilar fino alla morte di D. Tomás de Heredia, avvenuta il 28 marzo 1856. Sua figlia, Sig.ra Petronila, sposata con D. Modesto Sánchez Vida, per stabilire il loro domicilio a Cabra, portarono con sé San Feliciano, restaurarono e dipinsero la Cappella di Santa Catalina nella Chiesa di Santo Domingo de Guzmán, ponendovi l'urna con il corpo di San Feliciano nel 1857 ". La direzione finale è stata effettuata a Cordoba, davanti all'autorità ecclesiastica superiore, il sacerdote e storico D.Fulgencio María de Heredia Cabrera y Vida, nipote di D. Pedro Heredia Del Río, figlio di D. Tomás Heredia Del Río, e fratello di Petronila e José.
- MORTE DI PEDRO MARIA HEREDIA A ROMA
D. Pedro morì a Roma nel 1853 (alcuni dicono 1852) .
A questo punto le biuografie spagnole non registrano, il fatto per cui passerà alla storia, per coloro che venerano gli Arcangeli.
Oltre ai documenti rinvenuti dallo scrivente, la vicenda è tratteggiata, con invero troppo fariseismo e una ricostruzione imprecisa dal Cardinale Bartolini; il quale comunque andrà ad identificare PEDRO MARIA HEREDIA DEL RIO, come il PERSONAGGIO PIU' IMPORTANTE NELLA STORIA LITURGICA, DEVOZIONALE DEI SETTE ARCANGELI.
- OPERE di PADRO MARIA HEREDIA
Il nostro autore, scrisse opere di carattere poetico a sfondo religioso.
Fu sicuramente l'autore della presunta "Lettera inviata" a Fray Diego José de Cádiz, datata Ronda il 6 gennaio 1813.
Pubblicò una raccolta di numerose memorie e preghiere in onore dei santi angeli, e in particolare dei suoi sette principi (Cordova, 1823, con una Errata sic corrige, Cordova, 1813).
Si occupò dell’istituzione in Spagna della festa dell’Angelo custode come risulta da “De bello Hispaniae ab anno 1793 ad annum 1814 ubi humilis poeta suam exiguam”.
Appartengono all’autore pure:
- De bello Hispaniae ab anno 1793 ad annum 1814 ubi humilis poeta suam exiguam ; edito nel 1846; Notizia S. Beggae viduae ex Martyrologio Romano - 1841;
- Collectio Brevium Memoriarum in Honorem Sanctorum Martyrum Decem Mille in Monte Ararath Crucifixorum Et Aliorum - Roma 1840 ;
- Defensio domus regii saltus Irati die 17. maii 1794. Edito nel 1831 ;
- Historia sanctorum martyrum Cordubensium Ruderici: et Salomonis, Argimiri. ;
- Colección de varias memorias en honor de la gloriosa Santa Ursula, virgen y mártir y de sus compañeras, las once mil vírgenes y mártires", obra del Capitan retirado Don Pedro María Heredia y Río, publicada en Córdoba en el año 1819.
- PEDRO MARIA HEREDIA E I SETTE ANGELI
In onore dei Sette Arcangeli scrisse 2 testi dedicati, ma ne celebrò la memoria indirettamente anche in altre pubblicazioni.
La prima e molto corposa è una disquisizione teologica sul settenario, di rara complessità: Colección varias memorias y oraciones en honor de los Santos Ángeles, y en especial de sus siete príncipes, para excitar á su devoción / por Don Pedro María Heredia y Rio.-- En Córdoba : En la Imprenta de Don Luis de Ramos y coria, 1823 (sotto in formato PDF)
La seconda, con l'acronimo J.M.J. ha come titolo "De septem spiritibus qui in conspectu throni dei sunt", breve componimento pseudo - poetico celebrativo del 1838, in cui il settenario è celebrato senza i nomi, forse per non andare contro il sentimento delle cause. (sotto in formato PDF)
- UNO STRAORDINARIO MOVIMENTO DI POPOLO
Novello Antonio lo Duca, PEDRO MARIA HEREDIA DEL RIO fu protagonista indiscusso delle cause di restaurazione del culto dei Sette Angeli, soppresso a Palermo, da monsignor Mormile intorno al 1816. Avvenuto ciò, sul presupposto che si trattasse di offici concessi non dal Vaticano, ma dai regnanti di Spagna, dal 1826 al 1831, presentò 5 cause innanzi a Leone XII, Pio VIII, e Gregorio XVI, per cercare di restaurare il culto dei Sette Arcangeli. Nel 1800 assistiamo addirittura - CASO PIU' UNICO CHE RARO NELLA CHIESA ROMANA - alla presentazione alla Santa Sede di ben 6 CAUSE PER L'APPROVAZIONE E LA RESTAURAZIONE DEL CULTO DEI SETTE ARCANGELI, cinque delle quali furono proposte dal nostro teologo.
- LA STORIA DI QUESTO STRAORDINARIO AVVENIMENTO CAUSATO DALLA DISTRUZIONE DEI SETTE GRANDI SANTI ARCANGELI PROTETTORI E PATRONI DI PALERMO
Nel capoluogo siciliano, il culto dei Sette Angeli, rimasto saldo nell’omonimo monastero, con tanto di bolle papali di approvazione e di indulgenze ecc, almeno fino ai primi anni del XIX venne barbaramente eliminato.
La Messa approvata e concessa dal Cardinal del Monte a Palermo e alla Sicilia, nonchè l'Officio che il Sacerdote Antonio lo Duca aveva composto a Roma e che parimenti si recitava a Palermo forse sulla scorta pure di altra concessione del suddetto Cardinal Legato, proseguirono ad aver luogo nel Calendario del Clero Palermitano fino all'inizio del XIX secolo, allorquando entrò a reggere quella Chiesa Metropolitana Monsignor Mormile.
Questi avvedutosi che l'Officio e la Messa dei sette Angeli unitamente ad altri Offici si recitavano dal Clero Palermitano senza alcun Decreto della Sacra Congregazione dei Riti, ma solamente in forza di qualche peculiare concessione fatta in grazia dei Vice Rè, che governavano la Sicilia sotto il dominio dei Monarchi di Spagna - in realtà erano state concesse approvazioni di diversi Papi, come narra Antonio Mongitore - stabilì di cancellarli dal Calendario Diocesano.
La vicenda è ben rassunta pure da un testimone dell'epoca secondo cui :“ nell’ anno 1816 o 1817 ritrovandomi in Palermo, ed avendo avuto pelle mani una Appendice degli Officii proprii dei Santi Patroni , e Cittadini della anzidetta città e Diocesi , domandai a diversi ecclesiastici eruditi, perché non si recitavano più tali Officii proprii, e codesti mi risposero , che si recitarono dal Clero Regolare, sino all'epoca in cui fu fatto Arcivescovo di Palermo il Monsignor Mormile, il quale avendo esaminato tale appendice degli Officii proprii dei Santi, osservò che si recitavano non per Decreti della Sagra Congregazione dei Riti Sagri , ma per un Privilegio concesso ai Vescovi delle Spagne, che in allora godeva anche la Sicilia, come soggetta al Dominio del Regno delle anzidette Spagne , ma che non essendo più soggetta alle Stesse, ed avendo la Sicilia il suo Sovrano particolare, non poteva più godere di tale Privilegio , …perciò proibì la recita di tali Officii proprii” [testimonianza del padre Giovanni Battista della Vergine Addolorata - procuratore generale degli agostiniani scalzi - 1832].
Si venne così a sapere che il lo Duca per mezzo dell'allora Vice-Re' Ettore Pignatelli, Duca di Monteleone aveva ottenuto dal Cardinal Legato del Monte quell'approvazione; e successivamente stando il medesimo a Roma ottenne anche l'approvazione e concessione dell'Officio dei Sette Arcangeli.
Nel 1825 il Cavaliere Spagnuolo Pietro Maria Heredia del Rio caldissimo propagatore al pari del lo Duca dell'invocazione e culto dei sette Angeli eccitò fortemente il Cardinal Gravina Arcivescovo di Palermo a presentare insieme un'istanza al Sommo Pontefice - LEONE XII - affinchè per ordine della sacra Congregazione dei Riti si riapprovassero l'Officio e la Messa nella Diocesi Palermitana; e fosse anche estesa tale concessione al Clero Romano, e a quello di tutto l' orbe cattolico.
Il Cardinale Arcivescovo - Gravina, si mostrò favorevole ai desideri del Cavaliere Spagnolo, e si formulò così la prima istanza, a cui sottoscrissero più di cento fra i Cardinali, Vescovi, Vicari Capitolari, Abbati e Superiori Generali di Ordini Religiosi.
Leone XII che sedeva allora sulla Cattedra di S. Pietro rimise la vicenda alla Sacra Congregazione dei Riti, affinchè decidesse sul merito della domanda.
Esaminato il sommario dei documenti, in data 16 dicembre 1826 la Congregazione si riunì per decidere sulla questione, l'esito del quale fu "Negative in omnibus".
Soffrì di mal animo il Cavaliere Heredia della risposta negativa della Sacra Congregazione dei Riti, e preso consiglio da vari illustri personaggi, domandò una nuova udienza, che gli fu accordata.
Pertanto avendo presentato ai Padri Porporati una nuova posizione ricca di prove storiche e di sentenze di Teologi ed avendo in essa risposto a tutte le difficoltà contestategli dal Promotore della Fede e segnatamente a quella del Decreto di S. Zaccaria Papa e del suo Sinodo II Romano, si propose di nuovo la petizione alla Sacra Congregazione dei Riti adunati nel giorno 27 Settembre 1828 la cui rispsta fu ancora più perentoria "In Decisis, et amplius“.
Il Cavaliere Heredia non si diede per vinto dalla parola amplius che nei giudizi presso le Sacre Congregazioni vieta qualunque ulteriore discussione della causa; ma attendendo un tempo più favorevole, decise di rimanere nel silenzio.
Morto Leone XII, gli successe Pio VIII, al quale porse una terza petizione, corredata questa volta da decine di lettere postularotire provenienti da tutto l'orbe cristiano. La prematura morte di Pio VIII non consentì alcuna ulteriore decisione in merito.
A Pio VIII successe Gregorio XVI. Nello stesso giorno della intronizzazione Pedro Maria Heredia lo pregò di accordargli una quarta proposizione della Causa dei sette Angeli innanzi al supremo Consesso dei Riti.
In seguito, avendogli presentato una nuova istanza con l'elenco di tutti i personaggi illustri che ad essa accedevano; il Sommo Pontefice in data 13 Giugno 1831 la remise semplicemente alla Sacra Congregazione dei Riti. Fece quindi distribuire una quarta posizione con altre delucidazioni alle opposte difficoltà; ma la Sacra Congregazione nell'adunanza ordinaria del 12 Novembre dello stesso anno, tenendo fermi gli effetti della clausola amplius, neppure volle discutere quella causa rescrivendo: "Standum decisioni 16 Decembris 1826“.
Allora nel giorno 28 dello stesso mese di Novembre, l'Heredia per mezzo del Cardinale Giacomo Giustiniani, Segretario dei Memoriali ottenne dal Papa un rescritto di poter rimettere in corso la causa per la quinta volta.
Per capire meglio la questione dobbiamo allora focalizzarci su questo atto formale: il rescritto [ dal latino rescriptum, pp. neutro di rescribĕre, scrivere in risposta]. Nell'antica Roma, in epoca imperiale, atto con il quale l'imperatore esprimeva un parere su punti controversi di diritto prospettatigli dai privati o dai giudici. Nel diritto canonico il rescritto è un atto dell'autorità ecclesiastica, munita di giurisdizione, che, su istanza del richiedente, concede una grazia o risolve una controversia. Particolare importanza assumono i rescritti pontifici detti decretali. Secondo alcuni studiosi i rescritti hanno natura di leggi, poiché possono essere anche contrari al diritto vigente. Secondo altri avrebbero natura di atti amministrativi essendo rivolti a un singolo caso o a una singola persona. La validità del rescritto è subordinata alla veridicità dei fatti esposti; ne deriva che i vizi del rescritto sono la surrezione (reticenza nell'istanza) e la orrezione (esposizione di falso nella medesima).
Non piacque però quel rescritto al Cardinal Pedicini, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti e ai Prelati officiali di essa, non avendo, secondo il suo parere, espressamente derogato agli effetti della clausola amplius.
Cionondimeno poichè il Sommo Pontefice Gregorio XVI espresse l'intenzione di favorire il Cavaliere Heredia nel fare quella concessione all'udienza del 18 Gennaio dell'anno successivo 1832, la quinta causa fu nuovamente ammessa e in virtù di questo rescritto pontificio fu presentata per la quinta volta al giudizio della Sacra Congregazione dei Riti nel giorno 7 Aprile 1832.
Siccome nelle varie discussioni si era agitata la questione sulla validità del culto dei sette Angeli, ed il Sommo Pontefice aveva accordata la quinta udienza solamente a riguardo dei molti ed illustri personaggi che avevano firmato la petizione, così fu variato il titolo di essa: " Restaurationis cultus, et adprobationis Officii et Missae in honorem septem Sanctorum Angelorum. Instantibus Centumviginti octo Viris in Ecclesiastica Dignitate constitutis; et ad relationem E". et R". D. Card. Odescalchi") Ponentis rescriptum fuit , In Decisis, et in omnibus ad formam mentis Sanctitatis suae panditae in Rescripto diei 18 Januarii 1832“.
Ma quel rescritto pontificio disponeva che dopo quest'ultimo perentorio giudizio della S. Congregazione dei Riti si dovesse questa causa sul culto dei sette Angeli seppellire in un perpetuo silenzio: dunque il decreto di Zaccaria fu inviolabilmente osservato.
Tutto sembrava così perduto, ma a ripriere i giochi, ci pensò il Re Ferdinando delle Due Sicilie, il quale, grazie al Cardinale Patrizi, intorno al 1858, propose una nuova istanza innanzi a Sua Santità Pio IX. Questa sesta proposizione, è stata da noi individuata all'interno della Bibliteca Pontificia Antonianum, dove giaceva silente. Il motivo di questa sesta proposizione fu probabilmente la notizia che Sua Santità ebbe della proficua protezione dei Sette Arcangeli, elargita alla Sua Persona , all'indomani della fuga precipitosa da Roma, verso Gaeta, laddove fu accolto dal Re Ferdinando. In quell'occasione, il Pontefice, in contatto epistolare con la veggente Maria Domenica Barbagli, fu informato che i Sette Arcangeli avevano miracolosamente scortato Sua Santità durante quel pericoloso viaggio, e per tale motivo, il Bonito realizzò in commemorazione di tale evente, un quadro dedicato ai Sette Principi angelici che pare essere quello ancora presente nella Basilica Cattedrale di Santa Maria Assunta.
La causa fu dunque ripresentata all'attenzione del Santo Pontefice Pio IX istante il medesimo Re Ferdinando II a nome dell'intero suo Popolo, nel 1858 con un titolo parzialmente diverso - Adprobationis Officii et Missae in honorem Septem Archangelorum ante Dominum et Agnum adstantium -.
Risulta evidente il tentativo di superare le "praecedentes propositiones", attraverso una richiesta di approvazione del gruppo dei Sette Arcangeli e degli offici loro dedicati senza i nomi controversi che avevano generato perplessità. A tal fine il Cardinale Patrizi invocò le clausole di approvazione degli offici liturgici statuiti da Benedetto IV, in base alle quali, una liturgia può essere concessa se viene recitata da oltre cento anni, e la sua origine perveniene da tempi immemorabili.
L'esito della stringata istanza non è ancora nota, ma stiamo svolgendo le indagini del caso.