MONS. ANTONINO ROMEO E I SETTE ARCANGELI (O SETTE SPIRITI ASSISTENTI)

Carmine Alvino

Ricerche, collezione materiale e traduzioni dal latino

Avv. Carmine Alvino

 

Mons. Antonino Romeo e i Sette Arcangeli


Carissimi amici, nell’invitarvi a fare riferimento alla dispensa “Quaestio Archangelorum” per la parte generale, vi rimettiamo la fonte diretta del pensiero di Mons. Antonino Romeo sugli Arcangeli, tratta direttamente dall’ Enciclopedia Cattolica – vol. 1, pagg. 1791


Monsignor Antonino Romeo riceve una bella nota biografia da DON CURZIO NITOGLIA:

Nato a Reggio Calabria l’8 giugno del 1902, studiò a Friburgo in Svizzera ove apprese correttamente il tedesco e il francese. Per la teologia è fu alunno del Seminario Regionale San Pio X di Catanzaro e fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1924. Poi espletò il corso completo al ‘Pontificio Istituto Biblico’ di Roma dal 1924 al 1927, anno in cui fu nominato professore di S. Scrittura presso il Seminario Regionale di Catanzaro, ove rimase sino al 1934; dal ‘34 al ‘38 fu Pro-Vicario Generale di Reggio Calabria. Nel 1938 iniziò la sua attività nella Curia romana presso la S. Congregazione per i Seminari e le Università sino al 1972, quando si ritirò nel Seminario di Reggio Calabria ove morì il 22 settembre del 1979. Fu professore di S. Scrittura di mons. Francesco Spadafora, il quale lo ricordò in un commovente articolo su “Palestra del Clero” (n.° 21, 1979, pp. 1321-1327). Il metodo scientifico del Romeo era basato sullo studio della filologia, delle fonti e delle scienze ausiliarie sotto la interpretazione comune della Tradizione o dei Padri ecclesiastici. Egli, come scrive nella sua commemorazione Spadafora, era contrario alle «inutili e vanitose “specializzazioni”, che limitano il campo e spesso accecano, rendendo stolti, e quasi sempre ignoranti di tutto il resto». Tra le sue opere sono da enumerare Dio nella Bibbia, nel volume Dio nella ricerca umana, a cura di Giuseppe Ricciotti, Roma, Coletti, 1950 (pp. 257-415); Il Giudaismo, nel volume Le Religioni nel mondo, Roma, Coletti, 1946; la monografia sul Sacerdozio, nella Enciclopedia sul Sacerdozio, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1953 (pp. 289-579); il trattato sulla Ispirazione, nel volume scritto assieme a F. Spadafora - D. Frangipane, Il Libro Sacro, Padova, Il Messaggero, 1959 (pp. 55-190); la traduzione e commento dell’Apocalisse, ne La Sacra Bibbia a cura di S. Garofalo, Torino, Marietti, 1960, 3° vol., pp. 763-861. «Egli preparava un grande commento all’Apocalisse» quando la morte lo colse a 77 anni. Storica è la sua confutazione dell’articolo di padre Alonso Schökel, Dove va l’esegesi cattolica? in “La Civiltà Cattolica”, 3 settembre 1960, pp. 449-460, «undici pagine di affermazioni gratuite, quasi un proclama innovatore» (F. Spadafora, ivi). La confutazione di mons. Romeo apparsa su “Divinitas” diretta da mons. Antonio Piolanti, n° 4, 1960, pp. 378-456, consta di ben 78 pagine ricchissime di citazioni e riscontri. Nel 1960 assieme allo Spadafora fece allontanare dal ‘Pontificio Istituto Biblico’ due gesuiti neomodernisti (v. sotto), ma col Pontificato di Paolo VI, questi furono immediatamente reintegrati nell’insegnamento senza nessuna correzione o nota “previa”. Secondo mons. Romeo, l’esegeta, specialmente se è sacerdote, «non è un mero filologo, ma anche un teologo»[1]. Invece la esegesi neomodernista è «basata sul disprezzo o la trascuranza della Tradizione, dei tesori di sapienza e di conoscenza lasciatici dai Padri»[2]. Mons. Romeo ci ha lasciato numerosi articoli sulla “Enciclopedia Cattolica” (Città del Vaticano, 12 voll., 1949-53) tra i quali Tradizione (XII, coll., 397-401), Anticristo, (I, coll., 1433-1440), Satana e Satanismo (X, coll., 1948-1961)[3].


 Per i nostri studi sugli Arcangeli, citiamo dal primo volume della Enciclopedia Cattolica. Il Romeo, fa una cronistoria liturgica del termine arcangelo , che ha avuto una progressione morfosintattica del tutto inattesa, trasformando Michele, Gabriele e Raffaele, in semplici angeli, messaggeri. Conseguentemente il Romeno, in adesione alle ricerche e alla determinazione di autori del passato, rigetta la classificazione dello pseudo – Dionigi come tardiva, avendo posto in essere il clamoroso errore liturgico sulla loro posizione: 


Ecliclopedia Cattolica Volume I, pagg. 1791

ARCANGELO – Il termine ricorre due volte sole (I Thess. 4,16; con l’articolo: Iud 9) nel Nuovo Testamento, al singolare, e designa s. Michele,  detto has-sar hag-gadhol  («il grande capo») in Dn 12,1. Il prefisso ἀρχι, molto in uso nel periodo ellenistico (e bizantino) coi termini di ufficio o dignità,   esprime il sommo grado.  Onde ἀρχάγγελος  significa « il capo supremo degli Angeli» ( cf Apocalisse 12,7).

Poiché si parla di un solo a.  nella Bibbia, R. Kraetzschmar e W. Nowack vi vedono un parallelo all’ « Angelo di Jahweh» : l’Angelo tutelare di Israele sarebbe poi stato sostituito da Michele.

Come altre voci  (ad es. nel Nuovo Testamento  e nei Settanta ἀρχιερεύς ἀρχιδεσμοψυλας ἀρχιεταρος  ἀρχιευνουχος  ecc) formate con  ἀρχι, che originariamente significavano una persona suprema nel suo ordine,  poi si usarono al plurale per più colleghi , ἀρχάγγελος   in seguito fu esteso a designare più principi celesti.

Filone usa tre volte ἀρχάγγελος  (al singolare) : due volte designa il Logos  (De conf. ling. , 28, 146; quis  rerum div. Heres  42, 205) , una volta Di (come capo degli spiriti  , De Somniis I, 25, 157).

Cristo è quindi presentato dagli gnostici , poi da Origene, come a.  ( J. Barbel pp 236-40) cf Epistola Apostolorum  capp 13-14.

Nell’ Apocalisse di Abramo, l’ Angelo della « manifestazione»  (= della Presenza) è descritto in modo simile al «Figlio d’Uomo » di Apoc 1,12-16; ha potere perfino sui «quattro animali» del Trono divino (cf Ez. I, 5-26) .

Unico è ancora con riflessi messianici , il Metatron, tema principale del  l. III° di Enoch  (Ed.  da H. Odeberg , 1928); è  il «Principe della Presenza», è il Vicario di Dio; ma è rimosso  dal « Principe»  glorioso  Anijel  (III Enoch 16,5).  Metatron è spesso ricordato nel Talmud Babilonese.

Il Libro di Enoch etiopico  enumera sette spiriti che chiama a. preposti  da Dio al creato (cf La Fortuna in Dante , Inferno, VII, 68 sg. e 77.96) specificandone l’impero  (20. 7-8) : Uriel, Rafael, Raguel , Michael, Sariel (o Saraqael) , Gabriel, Remiel (o Jeremiel IV Esdra 4,36).

Questi sette a. ricorrono spesso nei testi magici  dei primi secoli cristiani (cf A. Kropp).

L’ Epistola Apostolorum, verso il 175 , nomina quattro a. (Michale, Gabriel, Rafael, Uriel) come compagni di Gesù risorto  nel viaggio fino al quinto firmamento  (ed C. Schmidt  pp 46-49).

A sei a. allude Erma (Pastor visio  3,4) e la tradizione rabbinica (Targum di ps.-Jonatan a Deut. 34,6); i midrashim nominavano quattro a. (Michael, Gabriel, Uriel, Rafael): Numeri Rabba 2,10.

IL Talmud Babilonese nomina Suriel  « Principe della Faccia»  (Berakhot 51a).

Clemente Alessandrino parla otto volte degli a. (al plurale), da cui Dio è separato per la santità  (Stromata 6,7, 57, Adumbrationes in I Petro  I,II  e in I  , Io, 21, e 4 volte  in Excerpta ex Theodoto : ed.  Stahlin II (1906), p. 461; III (1909)  pp. 109  sg., 116, 121,154, 204,211).

Parzialmente identici agli a. sono gli « Angeli della Faccia» ( o della Presenza, cf.  Mt 18,10) o le « Faccie» (Giubilei I sg.  15;31)  di cui Enoch 40 , 1-10, da 4 nomi (Michael, Gabriel , Rafael Fanel o Fannuel « Faccia di Dio»).

Ma categorie ben distinte sono i Serafim , i Cherubim,  e gli Ophannim, (enoch 61,10)  o « Ruote»  (Ez. I, 15-21;10, 9-17) che circondano il Trono di Dio (cf. Apoc 4,6-8).

S. Vittorino da Petau  (sec IV)  identifica gli a. coi «sette spiriti  che assistono al Trono di Dio»  e cita Tob. 12,15; Apoc. 1,4 (In Apoc. 8,  ed Haussleiter).

B. Allo  riferisce Apoc.  1,4 e  4,5  allo  Spirito Santo «settiforme»; ma  J. Michl dimostra trattarsi  (come anche  Apoc 3,1; 5,6; 8,2; 15,1)  di sette principi angelici.

Si venne quindi accreditando il numero di sette a. (cf Testamento di Levi  8,2 sg;  - Ez.  9,2; Tb 12,15) come sette erano gli assistenti al trono dei sovrani orientali (Esth.  1,10).

Critici razionalisti ( H. Gunkel , W. Bousset,  H. Gressmann) affermano  che essi rappresentano i sette pianeti ( l’accostamento è in Enoch slavo  19,2)  ognuno dei quali regge un determinato periodo cosmico . Meno grossolana, ma ancora arbitraria,  è l’identificazione degli a.  agli iranici Amesa – Spenta (« i Santi Immortali») , i sei spiriti superiori che circondano il trono di Mazda .

La tradizione cattolica  diede il titolo di a.,  oltre che a Michele , anche a Gabriele e Raffaele  detti nella Bibbia «angeli».

Nella Didascalia Apost. ( VI 27,6; ed F.X.  Funk , I p. 373) l’ a. è ancora unico  (= Michele) .

Oltre che nei citati passi di Enoch e dell’ Epistola Apostolorum , Gabriele è spesso chiamato a., nei primi quattro secoli  (codici migliori del protovangelo di Giacomo ; Oracoli Sibillini  VIII , 460 [inizio secolo III] ; S. Efrem,  Sermo adv haereticos [ Opera graeca, 2, 269]; Teodoreto , in Cant. Cant., praefatio;  S. Ambrogio , De Virginibus  2,2,10 sg.;  Sedulio  Opus Paschale 2,3 ecc); Raffaele  invece tardivamente e raramente  (S. Isidoro , Etymolog. VII, 5 13, sg; Giorgio Sincello ).

Fu proibito  di ammettere altri nomi di angeli o a. oltre i tre biblici (Michele, Gabriele, Raffaele) nei Concili: laodiceno  (360-65, can 35), romano del 745 (actio 3:  »non plus quam trium angelorum nomina cognosci»), aquisgranense del  789 (can 28, 16: « De ignotis angelorum nominibus»); cf. Hefele – Leclercq, I, p. 1017.  Ciò nonostante S. Isidoro e Giorgio il Sincello propongono Uriel  fra gli a.

Giustamente oggi si rigetta la tardiva classificazione  (già nel sec. IV nel Sacramentario di Serapione e in Const.  Apost.  VIII 12,8,27 e cf VII 35,3: ed. Funk  I, pp. 498 ,505, 431; II p. 172) divulgata dallo pseudo Dionisio  (De Coelesti Hierarchia 6,2) che ha posto gli a. al penultimo posto della gerarchia  angelica (v. Angelo ; Cori Angelici):  si riservava agli angeli  e agli a.  il solo ufficio di « messaggeri» (Gregorio M. , Hom 34 in Evang.) . L’ a. è il capo della milizia celeste  (Ios. 5, 14-15 LXX)  e in tal senso Michele è detto ἀρχιστράτηγος  (Enoch slavo , 30,10 ;  Episto.l Apost. , testo copto , in Schmidt  op.cit. p. 49).

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